9 anni a chi diffama politici o magistrati, 6 a chi diffama gli altri
ROMA. Il ddl approvato in commissione Giustizia del Senato il 3 maggio scorso, che l’Aula del Senato sta per esaminare, contiene una norma assurda che oltre ad aumentare le pene per la diffamazione a mezzo stampa, introduce nel codice penale una categoria di diritto (nella già denegata giustizia a due velocità), più uguale degli altri: da una parte i comuni cittadini, dall’altra i politici ed i magistrati.
L’articolo 339 bis che verrebbe inserito nel codice penale nel caso in cui venisse approvato il disegno di legge, prevede 9 anni di carcere per il giornalista che diffama a mezzo stampa un politico o un magistrato; 6 anni di galera per il giornalista che diffama un comune cittadino. Un modo per soffocare l’informazione e farci retrocedere nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa, dove siamo stati collocati nell’annuale classifica di Reporters Sans Frontieres al settantasettesimo posto, preceduti da Paesi come Tonga, Burkina Faso e Botswana.
La norma prevede che le pene stabilite per alcuni reati tra cui la diffamazione a mezzo stampa (art.595 c.p) siano “aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa dell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio”. E siccome l’articolo 13 della legge n.47 del 1948 (diffamazione a mezzo stampa con l’attribuzione di un fatto determinato) prevede il carcere da 1 a 6 anni, se entrasse in vigore il 339 bis, la pena massima aumenterebbe della metà: cioè 9 anni (6+3).
Invece di contrastare le ‘liti temerarie’, utilizzate dai potentati economici, banchieri, Bankitalia e Consob, come strumento intimidatorio per impedire l’esercizio della libera informazione dei giornalisti, strumento necessario per informare preventivamente i cittadini da truffe, inganni, abusi di mercato, come dimostrano i crac delle 4 banche in risoluzione e la frode perpetrata dalle banche venete, il Senato vara l’ennesima norma bavaglio, con l’aggravante di prevedere una norma di diritto discriminatoria, per cittadini più uguali degli altri.
Adusbef e Federconsumatori, ritenendo che tale norma se venisse approvata, potrebbe violare principi costituzionali di eguaglianza di fronte alla legge, si riservano di verificarne i profili di legittimità, non essendo tollerabile che in un ordinamento democratico (non in una dittatura), si possano tutelare le caste di amministratori pubblici da intimidazioni, violenze o minacce, tali da limitarne il mandato, mediante l’intimidazione preventiva dei giornalisti e la limitazione dell’art, 21 della Costituzione sul diritto dei cittadini ad essere informati.
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».
Elio Lannutti (Adusbef) – Rosario Trefiletti (Federconsumatori)