ROMA. L’autoriforma delle banche popolari andrà avanti ma non è la “linea Maginot” cui si affida l’Associazione nazionale delle banche popolari per arginare, se non stoppare, la riforma varata dal governo Renzi. La vera arma difensiva, per la maggioranza dei banchieri popolari (non tutti) che osteggiano la riforma, sono le impugnative per incostituzionalità sia del carattere di urgenza del decreto di riforma, preteso dal governo ma non condiviso da tutti (articolo 77 della Carta), sia del merito della disposizione fondamentale che impone la trasformazione di quegli istituti da cooperative a società per azioni (articolo 45). E’ quanto apprende l’Agi da fonti del settore mentre la riunione del direttivo dell’Associazione è in corso. Il dibattito interno sulle modalità dell’autoriforma è fatalmente passato in secondo piano dopo la pregiudiziale di incostituzionalità presentata contro il decreto da una riunione congiunta dei capigruppo di Pdl, Sel ed M5S delle commissioni Finanze e Attività Produttive della Camera. Se la pregiudiziale dovessere arrivare ad un esito positivo, la riforma o almeno la sua approvazione per decreto verrebbe a cadere. Le commissioni inizieranno la prossima settimana le audizioni, ascoltando tra le altre fonti anche Assopopolari, ed e’ probabile che i contenuti delle ipotesi di autoriforma possano emergere in quella sede. Il fronte delle popolari non e’ pero’ del tutto compatto. Le banche popolari non quotate nel gruppo delle dieci “big” cui Renzi vuole imporre la trasformazione in Spa – cioé Veneto Banca, Banca popolare di Vicenza e Banca popolare di Bari – starebbero esprimendo un’opposizione più morbida, mentre alcune tra le grandi popolari già presenti in Borsa sono radicalmente contrarie. Negli ambienti finanziari nazionali si continua a reputare importante la “liberazione” delle grandi banche popolari della loro attuale natura cooperativa anche al fine di tentare un’alleanza di salvataggio tra una o più di esse e il Monte dei Paschi di Siena, ma non ci sono per ora riscontri ufficiali da nessuna fonte.
Apprensione invece circola anche negli ambienti della maggioranza di governo sulla prospettiva che le popolari quotate, una volta trasformate in società per azioni, possano infallibilmente finire nel mirino di pochi grandi gruppi finanziari internazionali in grado di scalarle, trasferendone cosi’ all’estero il quartier generale e la sede decisionale sull’erogazione dei crediti. L’unica alternativa sarebbe forse un grande processo di integrazioni tra le popolari, quello che peraltro l’attuale forma cooperativa e il forte radicamento locale delle varie governance ha sempre finora scoraggiato. (fonte Agi)