FIRENZE. Una Regione esposta al rischio di frane e alluvioni: il 98% dei comuni toscani, compresi i dieci capoluoghi di provincia, sono classificati a rischio idrogeologico e in ben sette Province su dieci (Firenze, Livorno, Lucca, Massa, Pisa, Prato, Pistoia) tale percentuale sale addirittura al 100%.
Oltre il 90% delle municipalità che hanno risposto alle interviste hanno abitazioni nelle aree golenali, negli alvei dei fiumi e nelle aree a rischio frana, il 45% delle amministrazioni monitorate presenta addirittura interi quartieri in zone a rischio, mentre il 77% ha edificato in tali aree strutture e fabbricati industriali, con grave rischio non solo per l'incolumità dei dipendenti ma anche per eventuali sversamenti di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Ancora, nel 44% dei casi presi in esame sono presenti in zone esposte a pericolo strutture sensibili, come scuole e ospedali e strutture ricettive turistiche, ad esempio alberghi o campeggi.
Sono alcuni dei dati emersi dal check-up sottoposto ai comuni da Ecosistema Rischio 2009, la campagna di sensibilizzazione e prevenzione organizzata da Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile dedicata al rischio idrogeologico presentata questa mattina in conferenza stampa, a Firenze, da Giorgio Zampetti, coordinatore nazionale Ufficio Scientifico Legambiente, e Piero Baronti.
Numeri che delineano il quadro di un territorio fragile, dove sono 280 i comuni interessati dal rischio frane o alluvioni, e che puntano il dito contro uno sviluppo urbanistico e un uso del territorio poco rispettosi delle limitazioni imposte dal quadro dei rischi connessi all'assetto idrogeologico. Salta agli occhi, infatti, come l’edificazione all’interno delle zone di espansione naturale dei corsi d’acqua sia un fenomeno in costante crescita e diffuso ormai endemicamente in tutta la Regione. Così, nonostante il 93% delle amministrazioni monitorate preveda nei propri piani urbanistici vincoli di edificabilità per le zone a rischio, un abbondante 90% dei comuni presenta abitazioni nelle aree a rischio. E le delocalizzazione procedono a rilento: solo nel 5% dei casi, infatti, sono state avviate iniziative di delocalizzazione di abitazioni dalle aree più a rischio e appena nel 4% dei comuni si è provveduto a delocalizzare strutture industriali. È evidente, quindi, che questi vincoli devono essere ulteriormente rafforzati.
Segnali positivi arrivano, invece, dalla pianificazione dell’emergenza e dall’organizzazione della protezione civile locale. La quasi totalità dei comuni (il 95%), infatti, ha predisposto un piano d’emergenza con il quale fronteggiare situazioni di crisi come frane e alluvioni, l’81% delle municipalità ha aggiornato tale piano negli ultimi due anni. Buono anche il livello di organizzazione e diffusione del sistema di protezione civile, con il 88% delle amministrazioni che hanno attivato una struttura di protezione civile attiva 24 ore su 24.
Sebbene l’informazione alla popolazione su quali siano i rischi, sui comportamenti individuali e collettivi da adottare in caso di calamità e sul piano d’emergenza predisposta dal proprio comune, rappresenti una delle principali attività di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, soltanto il 37% delle municipalità intervistate è attiva su questo fronte. Migliore la situazione per quel che riguarda la realizzazione di esercitazioni: il 48% delle amministrazioni, infatti, ne ha organizzata almeno una nel proprio territorio durante l’ultimo anno.
Oltre il 90% delle municipalità che hanno risposto alle interviste hanno abitazioni nelle aree golenali, negli alvei dei fiumi e nelle aree a rischio frana, il 45% delle amministrazioni monitorate presenta addirittura interi quartieri in zone a rischio, mentre il 77% ha edificato in tali aree strutture e fabbricati industriali, con grave rischio non solo per l'incolumità dei dipendenti ma anche per eventuali sversamenti di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Ancora, nel 44% dei casi presi in esame sono presenti in zone esposte a pericolo strutture sensibili, come scuole e ospedali e strutture ricettive turistiche, ad esempio alberghi o campeggi.
Sono alcuni dei dati emersi dal check-up sottoposto ai comuni da Ecosistema Rischio 2009, la campagna di sensibilizzazione e prevenzione organizzata da Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile dedicata al rischio idrogeologico presentata questa mattina in conferenza stampa, a Firenze, da Giorgio Zampetti, coordinatore nazionale Ufficio Scientifico Legambiente, e Piero Baronti.
Numeri che delineano il quadro di un territorio fragile, dove sono 280 i comuni interessati dal rischio frane o alluvioni, e che puntano il dito contro uno sviluppo urbanistico e un uso del territorio poco rispettosi delle limitazioni imposte dal quadro dei rischi connessi all'assetto idrogeologico. Salta agli occhi, infatti, come l’edificazione all’interno delle zone di espansione naturale dei corsi d’acqua sia un fenomeno in costante crescita e diffuso ormai endemicamente in tutta la Regione. Così, nonostante il 93% delle amministrazioni monitorate preveda nei propri piani urbanistici vincoli di edificabilità per le zone a rischio, un abbondante 90% dei comuni presenta abitazioni nelle aree a rischio. E le delocalizzazione procedono a rilento: solo nel 5% dei casi, infatti, sono state avviate iniziative di delocalizzazione di abitazioni dalle aree più a rischio e appena nel 4% dei comuni si è provveduto a delocalizzare strutture industriali. È evidente, quindi, che questi vincoli devono essere ulteriormente rafforzati.
Segnali positivi arrivano, invece, dalla pianificazione dell’emergenza e dall’organizzazione della protezione civile locale. La quasi totalità dei comuni (il 95%), infatti, ha predisposto un piano d’emergenza con il quale fronteggiare situazioni di crisi come frane e alluvioni, l’81% delle municipalità ha aggiornato tale piano negli ultimi due anni. Buono anche il livello di organizzazione e diffusione del sistema di protezione civile, con il 88% delle amministrazioni che hanno attivato una struttura di protezione civile attiva 24 ore su 24.
Sebbene l’informazione alla popolazione su quali siano i rischi, sui comportamenti individuali e collettivi da adottare in caso di calamità e sul piano d’emergenza predisposta dal proprio comune, rappresenti una delle principali attività di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, soltanto il 37% delle municipalità intervistate è attiva su questo fronte. Migliore la situazione per quel che riguarda la realizzazione di esercitazioni: il 48% delle amministrazioni, infatti, ne ha organizzata almeno una nel proprio territorio durante l’ultimo anno.