Adusbef si è costituita "ad adiuvandum"
ROMA. Il sostituto procuratore della Procura regionale del Lazio della Corte dei Conti Massimiliano Minerva ha deciso di citare in giudizio (udienza il 18 aprile 2018), Morgan Stanley e quattro alti dirigenti del Tesoro per un danno erariale di 4,1 miliardi di euro. Tra fine 2011 e inizio 2012, il ministero dell’Economia aveva versato alla banca americana circa 3 miliardi di euro in conseguenza di una clausola capestro per lo Stato, di “Additional termination event” presente in alcuni contratti. La clausola, secondo la Corte dei Conti, consentiva la risoluzione anticipata dei contratti a discrezione di Morgan Stanley: al verificarsi di alcune condizioni la banca poteva farsi restituire il valore di mercato dei contratti, imponendo ingenti costi allo Stato. I derivati hanno avuto, tra 2013 e 2016, un impatto negativo sul bilancio pubblico di 24 miliardi di euro, configurando palese riprova di intrecci incestuosi e conflitti di interessi coi dirigenti del Tesoro successivamente assoldati dalle banche di affari, sempre a danno della collettività.
La Corte dei Conti ha ravvisato che alcuni dei contratti “evidenziavano profili speculativi che li rendevano inidonei alla finalità di ristrutturazione del debito pubblico – l’unica consentita dalla normativa per operazioni in derivati – non essendo ammissibile per lo Stato, investitore pubblico, assumersi rischi rilevantissimi”. Secondo la Corte dei Conti la banca d’affari americana sarebbe responsabile del 70% dei danni causati, mentre il restante 30% è ripartito in gran parte in capo all’ex direttore del debito pubblico Maria Cannata (1 miliardo di euro), al suo predecessore Vincenzo La Via, agli ex direttori del Tesoro ed ex ministri dell’Economia Domenico Siniscalco (approdato a Morgan Stanley dopo aver fatto il ministro con Berlusconi) e Vittorio Grilli, assoldato da JP Morgan alla fine del suo mandato proprio dal dicastero del Governo di Mario Monti.
Il codicillo del contratto prevedeva che a partire dal 2011, e successivamente ogni cinque anni in caso di peggioramento del rating dello Stato italiano, la banca avrebbe potuto chiedere la chiusura del contratto. Nel 2011 non si presentò l’occasione, ma ad inizio del 2012, con la danza degli spread ed il magico insediamento di Mario Monti a fine 2011, direttamente dalla banca di affari Goldman Sachs di cui era consulente, dopo la nomina a senatore a vita dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incaricato di formare un governo tecnico, la banca presentò il conto, incassando 3,1 mld di euro.
Ai dirigenti del Tesoro, viene contestata la negligenza, in particolare alla Cannata, per aver “addirittura mostrato di non conoscere fino al 2007 l’esistenza di una clausola Ate (Additional termination events, quella che consente l’estinzione anticipata, ndr), la cui presenza aumentava a dismisura i rischi insiti nelle operazioni finanziarie che si andavano a compiere con quella controparte e che snaturava completamente la causa concreta stessa dei contratti, mostrando in tal modo di non comprendere il livello reale del rischio e delle perdite a cui esponeva lo Stato.”
Morgan Stanley avrebbe offerto l’elemosina di 30 milioni di euro, per chiudere il contenzioso con la Corte dei Conti, che l’avv. Antonio Tanza, presidente di Adusbef costituito in giudizio, giudica inaccettabile.