ROMA. Il Documento di economia e finanza 2016, che ha ridotto le stime di crescita economica (PIL) all’1,2% dall’1,6, le cui previsioni di crescita del prodotto interno lordo, dovrebbero attestarsi all’1,4% nel 2017 e dell’1,5 del 2018, con il rapporto deficit/pil al 2,3% per quest’anno, che promette di ridurre il debito pubblico attestato a 2.195 mld di euro nel gennaio 2016, aumentato in 23 mesi dal governo Renzi di ben 87 miliardi di euro, al ritmo di 3,8 miliardi al mese, (era di 2.108 miliardi nel febbraio 2014), non contiene misure in grado di rimettere in moto l’economia e rilanciare investimenti ed occupazione.
Esaminando con attenzione le 137 pagine del documento, con tabelle ed allegati sulla situazione economica, Adusbef e Federconsumatori, rilevano un Def poco lungimirante per il futuro, con troppi tagli allo stato sociale specie nel settore Sanità, entrate molto aleatorie nelle dismissioni del patrimonio pubblico, la riesumazione della vecchia Iri con la Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce pericolosamente il risparmio postale, avendo assunto la qualifica di istituto nazionale di promozione (Inp), obbligata a garantire di tutto e di più, dal Piano Juncker per le operazioni finanziarie delle piattaforme di investimento ammissibili al FEIS promosse da CDP ed assistite dallo Stato, alle spericolate operazioni bancarie.
Il Def, che non offre al contrario alcuna copertura né garanzie reali per sterilizzare le clausole di salvaguardia, che altrimenti farebbero scattare nel 2017 aumenti automatici dell’Iva per oltre 15 miliardi di euro, continua a favorire gli interessi delle banche, che dopo aver elargito crediti allegri per 302 miliardi di euro passati in sofferenza ed i banchieri premiati con bonus milionari per aver distrutto valore frodando almeno 210.000 azionisti di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, avranno altri due provvedimenti per riformare la disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ed una profonda revisione nelle procedure concorsuali in materia fallimentare per ridurre i tempi e i costi di recupero dei prestiti e per accrescere il prezzo di cessione dei crediti deteriorati.
L’introduzione di garanzie statali sulle operazioni di cartolarizzazione delle sofferenze potrebbe tradursi in un aumento della quota di crediti deteriorati oggetto di smobilizzo, passando dal 15%, per effetto delle misure del 2016, fino a raggiungere il 30 per cento nel 2019 la cui maggiore facilità di smaltimento dei crediti in sofferenza nei bilanci bancari, insieme agli effetti della riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, potrebbe indurre gli Istituti a rendere più favorevoli le condizioni di costo del finanziamento, con l’ipotesi del tutto aleatoria di una riduzione del tasso sui finanziamenti bancari, rispetto allo scenario base, di 10 punti base per il solo periodo fino al 2019.
Non si concilia la crescita del PIL reale nel 2017-2019 più elevata, con una politica fiscale ancora tesa al raggiungimento del pareggio di bilancio nel medio periodo, con il PIL reale previsto in crescita dell’1,4 percento nel 2017, dell’1,5 percento nel 2018 ed infine dell’1,4 percento nel 2019, con la sterilizzazione della clausola di salvaguardia finora privo di copertura per il 2017, che comporterà un minor carico di imposte indirette rispetto al tendenziale e un minore aumento dei prezzi al consumo; l’inflazione attestata all’1,3 per cento nel 2017 e 1,6 per cento nel 2018, un plausibile aumento di spesa da parte delle famiglie e ricadute anche sugli investimenti.
Non si capisce poi come in questo quadro di politica recessiva ed austera imposta dall’Ue, si potrà riattivare la domanda interna prevedendo più importazioni e di conseguenza, il contributo della domanda estera netta negativo; né il miglioramento delle condizioni economiche che si dovrebbero riflettere sul mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione al 10,6 per cento a fine periodo, che essendo accompagnato da una dinamica contenuta del costo del lavoro, ed una moderata crescita salariale conseguirà una maggiore produttività: più che lavoro agile, finanziamenti facili, trascorsi gli incentivi fiscali.
Infine poche risorse per il piano nazionale delle ricerche per incentivare la competitività industriale e promuovere lo sviluppo del Paese con soli 2,5 miliardi per il triennio 2015-2017 (4,7 miliardi per l’intero periodo 2015-2020) in settori strategici per la ricerca italiana e pagamenti ancora lenti dei debiti della PA, che dal 1 luglio 2014 al 31 dicembre 2015, ha riscontrato a fronte di 21,5 milioni di fatture registrate, per 129 miliardi, con 8,9 milioni di fatture pagate per 60,5 miliardi, con un tempo medio di 46 giorni.
Elio Lannutti (Adusbef) – Rosario Trefiletti (Federconsumatori)