Intrecci e reticenze hanno condizionato il giudizio. L'associazione rileva mancanza di coraggio del collegio giudicante.
ROMA. Il processo alle agenzie di rating che ha visto l’assoluzione di tutti gli iimputati ha fatto emergere gli “intrecci tra azionisti, manager, analisti, dirigenti del Tesoro, banche di affari e agenzie di rating”, ma non ha “consentito di delinearne in maniera definitiva i confini proprio per la ‘reticenza’ manifestata da alcuni testi”. E’ quanto scrive il Tribunale di Trani.
Secondo i giudici, i testimoni avrebbero dovuto avere, invece, “il dovere – si legge nelle 315 pagine della sentenza – di fornire una più ampia e sincera collaborazione, frenata o da interessi personali o da interessi di natura politica in un chiaro tentativo di frammentare le singole condotte, ostacolando l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato e, ancor prima, ostacolando la riconduzione a un disegno unitario di tutte le condotte, anche di quelle antecedenti all’azione del rating del 13 gennaio 2012, in un’ottica di sicuro pregiudizio per l’Italia, descritto dalla dirigente del debito pubblico Maria Cannata”. “In un contesto di velata, ma sostanziale, reticenza.