"Io mi chiamo lo stesso colore degli alberi" è il titolo dell'esposizione
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SIENA. Una interessante mostra a Siena: quella di acquerelli di Antonio De Dominicis (Dedo) intitolata ” IO MI CHIAMO LO STESSO COLORE DEGLI ALBERI “. “arte musica e pesia di ADD”. L’esposizione sarà visitabile da giovedi (23 aprile) a venerdi 8 mggio presso il negozio MOHSEN via di Pantaneto 128/130 Siena e da giovedi 7 maggio a giovedi 23 maggio 2015 presso il locale Cacio & Pere Via dei termini 70.
Vernissage e inaugurazione: Giovedì 23/04/2015 alle ore 19,30 Concerto di musiche e testi di Antonio De Dominicis con Sara Ceccarelli al flauto, voce di Eleonora Bagnani, Alberto Massi alla fisarmonica e Davide Cinci alla chitarra.
Partecipa inoltre Ivo Grande con la lettura di poesie di Antonio de Dominicis.
Presentazione della mostra: L’ABILITÀ DEL BARO di Giovanni Burali d’Arezzo
Il ciclo di acquerelli di Antonio De Dominicis merita particolare attenzione perché dicono di una chiara intenzione creativa. Essi costituiscono un insieme coerente che permette di fissare una sorta di grammatica, un sistema stabile di regole del gioco. Il gioco di De Dominicis è però complesso. Procediamo per gradi. L’uso che l’autore fa dell’acquerello è libero, cioè sganciato dalle finalità espressive convenzionalmente definite del medium. Invece di espandere, di riempire, di velare, il tratto d’acquerello di De Dominicis è concentrato, traccia, ritaglia superfici, lascia segni. La diluizione è ridotta al minimo, i cromatismi intermedi sono quasi assenti, dominano colori intensi, accesi. I lavori si presentano come piccole composizioni astratte o vagamente figurali in cui coesistono macchie, linee, curve, motivi geometrici e ornamentali che rimandano all’astrattismo lirico, all’arte decorativa, alle modalità dell’onirico, del naïf o a quelle dell’art brut, del graffitismo. Si tratta di piccole figure composite smaglianti, la cui brillantezza cromatica è potenziata dal bianco che le circonda e le attraversa. La forza espressiva di questi lavori risiede forse nell’armonico dialogo tra i segni colorati e il bianco del foglio. Della superficie bianca, infatti, la composizione spesso occupa uno spazio ridotto, somigliando in tal modo a un misterioso sigillo miniato impresso sul nulla. Ma il gioco, dicevamo, è complesso. Lo spazio bianco che fa da contrappeso alle variegate composizioni si tramuta in superficie di scrittura: in uno stampatello incurante della calligrafia, su ciascun acquerello l’autore scrive: sono parole, frasi, frammenti di discorso dal tono definitivo, sintetici, esiti ultimi di una gnosi, di un percorso di conoscenza – che si intuisce tormentata – da cui noi che guardiamo e leggiamo siamo esclusi. Ciò da cui, invece, siamo investiti è l’enigma che il gioco di De Dominicis solleva. Qual è il rapporto tra la figura e le parole, tra l’immagine e la scrittura? Si può intuire che in questi “acquerelli” la scrittura sia successiva alla figura, nel senso che, da un punto di visto compositivo, l’autore ha eseguito prima la figura, poi ha scritto le parole. In tal modo, l’intervento scritto si configura come un commento dell’immagine, una sua didascalia. Ma è una didascalia contrastiva che rivela in realtà una vera e propria contesa tra i due codici espressivi, una conflittualità che ha a che vedere con il senso stesso di un’esperienza artistica che mira dritta al significato ultimo dell’esistenza. È questo significato l’oggetto del contendere: l’immagine lo minaccia con le lusinghe della sensualità, lo sospinge verso l’indistinzione (INTANTO HO PERSO L’ANIMA); la scrittura invece lo preserva. Il suo irrompere scomposto, la sua affermatività sono un vero e proprio soccorso in extremis, un atto di forza semantico dal carattere difensivo (UN GUSCIO DI PAROLE MI PROTEGGE). Quello di De Dominicis, perciò, appare come un tentativo di sovversione del potere tirannico dell’immagine: se la figura è maschera ieratica e inautentica, la parola è strumento di smascheramento delle regole che governano il funzionamento delle immagini, cioè dell’arte figurativa tout court (PERDO LA FACCIA DA CLOWN). Per questo De Dominicis scrive SCELGO L’ABILITÀ DEL BARO.