E l'uso della conoscenza per impedire che questa terra sia "usa e getta"
di Silvana Biasutti
SIENA. Mi hanno chiesto, dieci anni fa, di diventare assessore al turismo e alla cultura nella Provincia di Siena. Erano tempi ben diversi da quelli che viviamo in questi ultimi anni; c’erano i partiti, c’era un pensiero di sinistra e pure un mondo legato ai conservatori che in quegli anni (e poi fino alla sua abdicazione forzosa) aveva come punto di riferimento Silvio Berlusconi. Un uomo che avevo conosciuto bene, nella sua veste di imprenditore e acquirente della casa editrice di cui ero dipendente come manager responsabile della comunicazione del gruppo che egli aveva acquisito.
Erano tempi diversi, però già si sentivano le avvisaglie di un nuovo mondo in cui avremmo dovuto vivere con altri criteri, con molte più cautele, con meno spensieratezza, in un clima di minore libertà effettiva e con regole create ad hoc, per premiare pochi e mettere in riga i più.
Non posso dire che quello (della nomina quale assessore) sia stato – nella mia ingenuità di immigrata – il “più bel giorno della mia vita”, tuttavia, nel momento in cui sono stata scelta per quel ruolo, non avevo capito la motivazione di tale scelta, ma ero convinta che fosse per la mia lunga esperienza nella comunicazione, maturata anche lavorando per marchi mondiali del turismo, nei precedenti incarichi in agenzie internazionali di pubblicità. Tutta quell’esperienza (e un notevole bagaglio di contatti preziosi) era proprio quello che avrei messo in campo in favore di una terra di cui mi ero innamorata anni addietro – luoghi che mi avevano regalato momenti irripetibili assieme all’idea che solo lì (qui!) si potesse ancora vivere una vita semplice, piena e stimolante.
Un giorno, alcune settimane fa, stavo per visitare uno di quei meravigliosi piccoli musei di cui questo angolo di Toscana può andare orgogliosa. Stavo per entrare in quel museo, dunque, quando mi cade l’occhio su un bel sedile in pietra, antistante l’ingresso. Il sedile, visibilmente antico, era circondato da mozziconi di sigaretta, abbandonati forse da visitatori che si erano fatti l’ultima Marlboro prima di una visita corroborante, mentre nell’angolo più riposto, sempre sotto quella bella seduta di pietra, stava un gnocchetto di deiezioni canine – testimonianza di altre presenze (turistiche?) oltre a quelle umane. Ho avuto poi occasione di tornare in quei paraggi e ho notato che non c’erano più quei mozziconi – sostituiti da altri più recenti – e con una certa sorpresa ho ritrovato le stesse – resistenti – deiezioni canine, solo un po’ ridimensionate dal trascorrere del tempo.
Quando guardo indietro all’esperienza di assessore (di assessore al turismo e alla cultura) – durata due soli ma intensi anni – ho un unico rimpianto: quello di non aver avuto alcuna esperienza precedente come amministratore pubblico. Non esiste un “manuale”, un testo propedeutico, qualcosa che acculturi e informi chi non ha ambizioni di carriera politica o non abbia almeno seguito la vita di partito; qualcosa che guidi chi è chiamato a fare l’amministratore, nel ginepraio del settore pubblico e del mondo politico, evitando ostacoli ed errori grossolani (e realizzando qualcosa di utile).
Può forse la passione aiutare? Io credo di sì, anche se solo parzialmente. Ma la passione è indispensabile, perché stimola a conoscere e senza conoscenza (di soggetti e problemi) non si possono mettere a punto obiettivi. Nel turismo soprattutto amare i luoghi aiuta a coglierne la vocazione.
Per spiegare meglio ciò che intendo, potrei riferirmi anche al capolavoro di Goethe, il Viaggio in Italia; perché credo che ormai sia fuori di dubbio che al primo posto delle nostre risorse, per un rinascimento economico del nostro paese, ci si debba rifare a un rinascimento culturale, cioè a una riscoperta la più allargata possibile del nostro patrimonio (anche interiore). A quel tempo però mi è parso che, di tutti i motivi per cui, da secoli, i grandi artisti e da decenni i turisti più attenti, vengono in terra senese e dintorni, pochi fossero considerati strategici, o almeno prioritari …
Ora però le cose sono cambiate – se non compiutamente, nei fatti, almeno a parole – perciò i percorsi della Francigena – su cui avevo camminato e fatto proposte e dove sarei tornata per capire meglio – ma anche il semplice andare a piedi sulla miriade di strade bianche sono almeno presi in considerazione.
In quegli anni, proporre il turismo lento, come proponevo in modo convinto – solo apparentemente ‘povero’ – suonava ridicolo, o snob, eppure, già allora (ma anche anni prima) dalle ricerche che riportano tendenze e nuovi comportamenti culturali emergevano nuove aspettative, da parte di chi viaggiava nel mondo: tra cui un desiderio di natura e di bellezza naturale che si intrecciava perfettamente con le testimonianze artistiche disseminate con abbondanza in tutto il territorio senese. Tutto ciò che questi paesaggi hanno saputo ispirare agli artisti, nei secoli. Dieci anni fa queste idee, come anche l’attenzione alla tradizione (ma non in senso folkloristico!) credo siano suonate un po’ ingenue; ricordo ancora il titolo di un quotidiano locale che irrideva “l’assessore vuole il panino con il pecorino” (e non con la fontina di risulta, come veniva scandalosamente proposto, in alcuni bar).
Insomma, a me pareva che i luoghi meritassero un profilo alto – molto alto – piuttosto che un alto numero di masse in pullman.
Ma tornando ai nostri giorni e partendo dalla visione triste di quella cacca sotto la panca, che nessuno aveva avuto l’idea di ripulire, vorrei allargarmi a parlare del villaggio in cui vivo in questo periodo, per osservare che è un vero gioiello; così viene citato dai non pochi visitatori che si incantano davanti ai paesaggi, alla vista a perdita d’occhio, che ammirano le vecchie case del minuscolo cuore medievale.
Ma anche qui, i mozziconi di sigaretta, i cartocci, le lattine e qualche cacca di cane rompono l’incanto e tradiscono l’anima dei luoghi. In generale si è perso per strada quel senso civico che si poteva osservare “prima”. Prima di che cosa? Prima che lentamente si smagliasse la popolazione autoctona e insolvessero due soggetti nuovi e diversi: la nuova popolazione dominante del luogo. I turisti e gli immigrati.
Li metto insieme, perché – a fronte della lenta sparizione delle vecchie famiglie che abitavano questa frazioncina, quando l’ho conosciuta decenni fa – questi due gruppi, entrambi alieni, si trovano a ‘possedere’ un luogo che non emette segnali culturali e che gradualmente è lasciato a sé stesso.
Parlando con uno dei pochissimi abitanti ancora attivo abbiamo entrambi osservato come, nonostante numerose attività produttive (soprattutto agricole), nonostante la bellezza (e qualche notevole testimonianza artistica) il paese abbia un aspetto trascurato.
Io penso che la prima cura sia una bella pulizia – proprio come accade a una persona che vuole “presentarsi bene” – e un coinvolgimento in questo aspetto degli immigrati, che lavorano qui e che qui risiedono per buona parte dell’anno. Coinvolgerli nella raccolta differenziata (a cui pare siano poco sensibili) con informazioni precise, e nel rispetto degli spazi comuni – ora, se non sbaglio, una legge sanziona chi getta i mozziconi delle sigarette in terra …
Un paese più pulito non richiede risorse aggiuntive! Basta dialogare con la gente e comunicare interesse e passione per una risorsa che non ha bisogno di pubblicità per farsi conoscere: basta il passaparola.
Ed esibire al visitatore un luogo nitido e curato lo induce a non consumarlo, a non usarlo come teatro per il proprio piacere. Perché anche i turisti fanno la loro parte: dal parcheggio selvaggio al bicchiere abbandonato sul muretto di fronte allo sbalorditivo spettacolo del tramonto, al kleenex lasciato cadere in terra …
Chi ha un’attività commerciale, a contatto con il pubblico, incomincia a rendersi conto dell’urgenza di quanto sto annotando, e credo che questo pensiero ci riguardi tutti e riguardi tutti i comuni di questa provincia (e non solo). Perché è inutile cullarsi nell’idea che paesaggio e cultura possano essere la principale risorsa, il vantaggio competitivo, se si pensa che ci debba pensare qualcuno (altro!).
Senza passione non si alimenta la conoscenza e se chi arriva non “riconosce” i luoghi li tratterà come terra di nessuno: usa e getta. Pensiamoci, prima di perdere questo bene, anche prima di gettare in terra un pezzetto di carta!
