Lettera di denuncia e di speranza dalla comunità degli abitanti della frazione
Al Signor Sindaco
A Sua Eccellenza, il Vescovo
chi scrive, sommando nel ruolo di destinatari due figure e due istituzioni così diverse, è portavoce di una comunità del Chianti senese, la frazione di Villa a Sesta, del comune di Castelnuovo Berardenga e il senso di questa lettera aperta, sta proprio nella richiesta di assunzione di responsabilità all’Amministrazione comunale ed alla Diocesi, per le rispettive competenze, rispetto al degrado in cui versa la comunità degli scriventi.
Tanto per chiarire: la frazione di Villa a Sesta è tra le più belle dell’intero Chianti senese, affacciata ad un balcone naturale sulla provincia di Siena e immersa in un paesaggio di colline, vigne e boschi che incanta i visitatori. Ovviamente anche i residenti sono sensibili a tanta bellezza: tanto che compensano con la qualità della vita a Villa a Sesta le fatiche quotidiane supplementari implicite nella scomparsa di servizi fondamentali quali la posta, i negozi aliment
Ci sono case vuote, ci sono finestre murate, sbarrate, porte cadenti, archi instabili, vetri e persiano ciondolanti
ari, il pane fresco, ecc..
Solo che la bellezza che abbiamo ereditato non è a prova del tempo: anzi, se non c’è un intervento costante di manutenzione e di restauro, le case, i terrazzamenti, il paesaggio come il paese, sono destinati a deperire, ed il loro contenuto di “storia” è destinato a divenire “abbandono”.
E’ quanto succede con alcuni aspetti del suolo pubblico: un orribile asfalto ha preso il posto, ormai tanti anni fa, dello sterro e delle lastre; ma l’asfalto diventa intollerabile quando toppe su toppe, viene fuori – come è successo qui- un mosaico di interventi. Ci si possono ricostruire le scadenze elettorali degli ultimi quindici anni, prestando attenzione alla stratificazione di toppe che ormai non colmano neppure più ma le buche, male sottolineano.
L’asfalto logoro, avvallato, frantumato, è fonte di pericoli per la deambulazione ordinaria, sia di turisti che di gente del posto, una popolazione – per di più- che comincia a sentire gli effetti dell’età. Se si percorre Villa a Sesta guardando in basso, l’impressione di essere in uno dei gioielli del Chianti si dilegua e l’asfalto ricorda solo che siamo in una frazione periferica, incline allo spopolamento, che non merita altro sforzo che qualche serie di toppe alla vigilia delle elezioni.
Signor Sindaco: non trova che questo stato di abbandono faccia poco onore al comune che si fregia di riconoscimenti di qualità della vita e del territorio? che cosa dovremmo pensare della sua amministrazione, guardando appunto a dove si debbono mettere i piedi?
Ma anche guardando in alto, se ci si sofferma solo poco poco a pensare a ciò che si vede, si rafforza l’impressione di un bel luogo che sta perdendosi: ci sono case vuote, ci sono finestre murate, sbarrate, porte cadenti, archi instabili, vetri e persiano ciondolanti, qua e là: buoni forse per foto disperatamente belle e nostalgiche, ma insopportabili per chi a Villa a Sesta ci abita e per chi ci tiene, per affetto, per scelta o per eredità culturale.
Case vuote, di proprietà privata ma esposte alla pubblica vista e costituenti un pubblico patrimonio di bellezza, di urbanistica spontanea, di qualità della vita: quando cade una capanna, nel mezzo ai campi, si perde un pezzo di passato; ma quando comincia a cadere il tetto di una capanna che sta nel mezzo al paese, è l’intero paese che ne riporta uno sfregio. Ecco perché la chiamata per la Curia: perché le case abbandonate sono di proprietà di alcuni privati e molte della Diocesi di Arezzo, che ne gestisce il degrado senza far trasparire nessuna diversa sensibilità dai privati che si muovono con mero senso di profitto. Lasciar cadere le case che si vogliono tener vuote è un duplice, o triplice, peccato – anche se non previsto né dal codice né dai comandamenti; chi tiene le case vuote e le lascia cadere minaccia in due diversi modi chi a Villa a Sesta ci abita e ci tiene: primo, impedisce che il paese si ripopoli, di persone normali, di famiglie che riportino vita, socialità, rumori di bambini che giocano e rumori di coppie che litigano, o che hanno fatto la pace. Chi tiene le case vuote impedisce al paese di continuare a vivere, in primo luogo: ma siccome le case vuote franano, anche coloro che le proprie case le hanno e le mantengono, rischiano di essere danneggiati.
Noi chiediamo all’Amministrazione della diocesi, per tramite del suo Vescovo, che inverta la propria politica di requisizione del patrimonio immobiliare: lasciate che gli inquilini vengano a voi, mettete a norma e mettete sul mercato degli affitti le case che state lasciando marcire; salverete un paese e fareste del bene a tutti quelli che potrebbero venire a vivere qui, a godere della luce e del vento e del paesaggio di questo nostro presepe.
Analogo discorso dovrebbe essere fatto per le proprietà (spesso grandi proprietà) fondiarie che arrivano fin dentro il paese, possedendo le case o gli annessi: lì è più difficile appellarsi al senso morale e all’etica cristiana di condivisione (sebbene l’etica capitalistica una volta non era estranea ai nessi con la morale cristiana, per quanto protestante). Ma dove non arriva la persuasione morale dovrebbe giungere la leva fiscale e il rigore dei regolamenti urbanistici: perché l’Amministrazione comunale che può imporre il colore delle facciate, non richiama con altrettanta forza, al rispetto dell’esistente e di quei beni che fanno, nella sostanza, i nostri paesi e il nostro paesaggio?
Perché l’Amministrazione comunale non chiede ai proprietari delle unità immobiliari in evidente stato di abbandono un impegno preciso al recupero del decoro delle loro proprietà?
Certo che il Comune che lascia marcire l’asfalto come ha fatto finora ha ben poco da esigere; ma se il Comune cominciasse a rimettere a posto quanto è di sua competenza, non sarebbe questo un argomento che darebbe forza alla richiesta di uno sforzo analogo agli altri proprietari, piccoli o grandi, laici o ecclesiastici? E la Curia, non potrebbe trovare insopportabile una messa in mora su un tema così scottante come la casa e come il rispetto delle cose pubbliche (la bellezza e la sicurezza sono senza dubbio delle proprietà pubblica!), tanto da rivedere la politica che ha lasciato, fin qui, le sue case ai topi? E le case rimesse in sicurezza, non tornerebbero ad essere redditizie (per i proprietari) e godibili (per gli affittuari o gli acquirenti)?
Noi, cittadini di fatto o di elezione di Villa a Sesta, nativi o immigrati, residenti o emigrati, stiamo attivamente lavorando a far sì che il bel posto sia anche vivo: stiamo prendendoci cura di noi e del posto che sentiamo “nostro”, in spirito di condivisione con chiunque altro voglia condividere il ricordo o l’ideale di vita che da qualche parte è rimasto impigliato, qui, in queste vie e in questi scorci. Noi stiamo facendo quanto ci è possibile: vi chiediamo di fare almeno ciò che dovete, o che dovreste.
Sta a noi farlo vivere, il paese di Villa a Sesta: ma voi smettete di farlo morire.
Lettera firmata