La lettera ci è stata girata da Siena Civitas
SIENA. Dal Circolo Sena Civitas riceviamo e pubblichiamo.
“A seguito dei recenti avvenimenti giudiziari che hanno toccato direttamente la credibilità della nostra Università, abbiamo ricevuto e giriamo la seguente lettera pervenutaci da parte di un noto docente e Direttore di reparto della nostra struttura ospedaliera.
UNIVERSITA’: COME “FUNZIONA”
“Quanto segue per portare a conoscenza di tutti come funziona oggi l’Università italiana.
Chi lavora nell’Università ha molti obblighi e responsabilità, ma negli ultimi decenni è venuto meno il concetto basilare di fare scuola, da cui si dovrebbe dipanare il futuro dell’insegnamento e della ricerca. E’ richiesto infatti di formare giovani laureati che trovino sbocchi nel mondo del lavoro, ma tale formazione è insufficiente e determina sempre più la necessità, per i neodottori, di integrare il corso di studi con corsi di perfezionamento, master o quant’altro.
Parallelamente, è sempre più complicato poter trattenere le persone valide, nelle quali si intravedono doti superiori alla media. Oggi, a causa della Legge Fornero, i neolaureati non possono più, come in passato, rimanere all’università come collaboratori a titolo gratuito (una volta si chiamavano “laureati interni”) perché è previsto che a tali figure vengano pagati almeno i contributi previdenziali, il che obbliga l’ente ad ammettere tra le proprie mura soltanto studenti dei corsi di laurea, masterizzandi e specializzandi, che una volta ottenuta la ultraspecializzazione si collocheranno più probabilmente nel mondo del lavoro privato dal momento che la prospettiva di un posto pubblico è ormai una chimera.
In Italia per essere assunti all’università è necessario un concorso pubblico.
Il professore che volesse dar seguito alla sua attività cedendo il suo insegnamento a qualcuno, dovrebbe :
1) formare l’allievo (in genere ciò avviene affiancando al nome del docente quello dell’allievo su tutte le pubblicazioni possibili)
2) chiedere un posto per quell’allievo (proponendo una programmazione, in pratica scannandosi con i colleghi del suo Ateneo)
3) proteggere l’allievo dalla concorrenza esterna (in pratica richiedendo il concorso per un candidato che soddisfi tutti i requisiti già in possesso dell’allievo)
4) respingere ogni attacco successivo a quel preciso concorso (spesso promettendo a colleghi di altre università che il prossimo concorso bandito sia appannaggio dei candidati altrui).
Questo è quanto succede regolarmente in ogni situazione. Ed è innegabile, com’è innegabile che in questo modo si sia aggirato il sistema dei concorsi per merito perché in questo modo è possibile portare in cattedra anche chi non lo merita.
In verità con la Legge Gelmini qualcosa sembrava essere cambiato. La creazione di indicatori per ottenere l’abilitazione scientifica nazionale aveva consentito a migliaia di ottimi ricercatori, bloccati nella loro progressione di carriera, di ottenere almeno i requisiti per passare di ruolo. Con altri indicatori, questa volta relativi alle prestazioni delle varie università, costoro potevano avere la possibilità di essere chiamati direttamente in ruolo, o di sostenere concorsi per la progressione di carriera.
Per spiegare in termini comprensibili, il sistema degli indicatori funziona un po’ così: se salti in lungo 7 metri, in alto 2 metri e con salto triplo 12 metri, hai l’abilitazione a professore associato, se salti in lungo 8 metri, in alto 2 metri e 30 e con salto triplo 15 metri hai l’abilitazione a ordinario. Fine dei giudizi soggettivi, fine dei potenti che giudicano in base ai loro voleri, solo dati oggettivi, dimostrabili e replicabili. Dati scientificamente inconfutabili, insomma. Per chi ha lavorato duramente per tanti anni, questa doveva essere una benedizione.
I fatti che la cronaca ci ha riportato recentemente, se appurati dalla magistratura, ci fanno invece capire che qualche genio del male è riuscito ad aggirare anche la Legge Gelmini: in sostanza, si sarebbe impedito a chi aveva il pieno diritto sancito dalla Legge di accedere alla prova per ottenere l’abilitazione nazionale.
Questo fatto sarebbe gravissimo, ove si impedisse a chi ha ben lavorato e prodotto per tanti anni, non solo di avere la meritata progressione di carriera, o quantomeno di averne una chance, ma addirittura di poter dimostrare di non essere stato un nullafacente, mentre altri, meno degni, gli passano avanti”.