SIENA. Stazione di Grosseto, lunedì 14 marzo 2016, ore 08,38. La Freccia Bianca per Roma è stata annunciata puntualmente, infatti ha due minuti di ritardo. Perciò in questa Italia che sta ‘ripartendo’ – con o senza virgolette non ha importanza – è da considerarsi puntuale.
Io sono contenta della mia scelta: treno più metro e sarò a Roma quasi un’ora prima del mio appuntamento. Giusto il tempo per fare un giretto e guardarmi attorno: Roma è sempre bellissima, e per un giorno vorrei proprio dimenticare scandali, corruzione, mafie, e tutto quello che angoscia un cittadino di questi tempi tristi.
Binario n°1, mi preparo, come fanno gli altri attorno a me. Il treno sta arrivando, il treno arriva; la mia carrozza è la numero cinque e mi chiedo a che altezza la troverò a treno fermo. Il treno sta arrivando e – in un certo senso – arriva fin troppo. Sferraglia velocissimo davanti a noi passeggeri delusi che stiamo lì a guardarlo fuggire via come in un sogno. Passato il primo momento di sorpresa autentica, poi di perplessità, adocchio due signori con la divisa delle Ferrovie dello Stato, che stanno scrollando il capo con aria un po’, come dire, avvilita.
Nel frattempo il treno lo si intravede, fermo, a qualche centinaio di metri oltre la stazione, in direzione Roma. Mi avvicino ai due in divisa e chiedo se sanno o immaginano che cosa sia successo. Non posso trascrivere il dialogo, che non ho registrato, ma posso riportarne i contenuti.
Apprendo infatti che, qualsiasi cosa sia avvenuta, il macchinista ‘passerà un guaio’ e verrà sanzionato. Naturalmente la cosa ha una sua logica, soprattutto se il macchinista ha commesso un dolo. Poi però apprendo pure che, a fronte di qualche centinaio di passeggeri, il macchinista è uno solo. Cioè è lì in cima al treno, e – immagino (ma forse immagino troppo) – che se gli scappa la pipì o è dotato di dispositivo speciale (?) oppure se la tiene e lasciamo perdere un caso di malore serio. Sulla pipì sarei sostanzialmente d’accordo; del resto ho memoria di stabilimenti e di aziende in cui la pipì doveva essere eseguita a spron battuto ed erano previsti alcuni (pochi) minuti per la bisogna.
Vengo pure a sapere che le ore di lavoro di un macchinista sono dieci al giorno: immagino che non sia previsto un intervallo per il pranzo … apprendo pure che quel lavoro – Fornero docet – non è più usurante e perciò si va in pensione a sessantasette anni. Anche rispetto a questo dato non so che cosa pensare: mi immagino macchinista sessantasettenne a condurre un treno con qualche centinaio di passeggeri, per dieci ore al giorno, ma non mi ci vedo. Che dico: non ci vedo neppure la signora Fornero e nonostante siano quasi tutti dei baldi giovanottoni e giovanotte, non riesco a immaginare nessuno dei politici in onda (più che in carica) di questi tempi!
Non so che cosa sia successo al macchinista, al sistema di controllo, ai dispositivi che dovrebbero garantire la “sicurezza” di ogni viaggio in treno, ma qualcosa di inatteso è certamente accaduto.
Da lunedì scorso mi chiedo che cosa diavolo sia successo e noto che – una volta ripreso il viaggio (con quaranta minuti di ritardo) – nessuno ha pensato (cioè le ineffabili FFSS) di spiegare ai passeggeri che cosa sia avvenuto, quanto meno per impedire illazioni pericolose per la reputazione del servizio. Da lunedì continuo a pensare a tutti i macchinisti solitari che girano su e giù il nostro paese, ritenendo la pipì e forse anche altro.
Da lunedì continuo a ricordare i tempi non remoti, quando i macchinisti erano due – come i piloti su un aereo di linea – e immagino che la responsabilità del buon esito del viaggio fosse condivisa equamente.
Da lunedì penso che è vero: le macchine hanno sottratto posti di lavoro, ma anche l’albagia di quelli che hanno deciso di aumentare i costi, tagliare i posti di lavoro, precarizzare il servizio.
Da lunedì penso anche che, comunque, anche se succede qualche incidente – Viareggio insegna – per qualche anno ci si trastulla con il gioco dello scaricabarile, finché prescrizione non risolverà definitivamente il problema.
Silvana Biasutti