Una riflessione che vale per chiarire il significato delle parole
di Mauro Aurigi
SIENA. E’ circolato in rete il mio articolo del 19 marzo a proposito dell’ipotesi che la Toscana, insieme ad altre regioni, possa sparire dalla carte geografiche a causa di un progetto di riforma costituzionale (vedi qui). Mi ha colto di sorpresa la quantità di commenti antiregionalisti che ha provocato (le regioni spendaccione viste come massime responsabili della crisi in cui il Paese si dibatte), fino all’auspicio che tutto il sistema delle autonomie regionali venga abolito, e ciò perché, vista l’esperienza fatta, lo Stato accentratore sarebbe migliore dello Stato cosiddetto federale o federalizzato.
Che dire? Quei critici o sono molto giovani, per cui sfugge loro la storia recente del Paese, oppure sono i tipici Italiani dalla memoria corta e comunque confusa. Altrimenti, per esempio, non confonderebbero il “federalismo” con il “decentramento”. Il primo è infatti centripeto: sono i diversi e i disuguali che si uniscono per creare un centro comune (vedi la UE). Mentre il decentramento è esattamente l’opposto, ossia è centrifugo: le periferie che conquistano pezzi di autonomia dal centro. In Italia siamo stati capaci di invocare il decentramento chiamandolo federalismo che invece è l’accentramento: potremmo essere più confusionari?
LO STATO HA FUNZIONATO MEGLIO DELLE REGIONI?
Le Regioni quando furono istituite non avevano alcun peccato originale, checché se ne dica. Solo vi furono trasferiti gli stessi uomini e la stessa cultura politica dello Stato. Non poteva quindi andare diversamente da come è andata. Le Regioni sono un effetto non la causa della frana del Paese. Voglio dire che le istituzioni non hanno alcuna responsabilità intrinseca per il proprio malfunzionamento, perché la responsabilità è tutta degli uomini che le gestiscono o più precisamente degli elettori che hanno eletto quegli uomini, quegli stessi elettori che poi si lamentano di quel malfunzionamento. E poi che vuol dire “aboliamo le Regioni perché non hanno funzionato”? Forse che lo Stato, a cui tornerebbero tutte le funzioni delle ex regioni, nel frattempo ha funzionato meglio, non ha sprecato risorse, non ha distrutto civiltà, non è stato a sua volta “criminale”? Convincersi che sia un bene cadere dalla padella nella brace non è il massimo in fatto d’intelligenza.
E d’altra parte ci sono realtà vive e vegete che dimostrano esattamente l’opposto di quello che lamentiamo in Italia. Basti pensare agli USA, alla Germania, all’Australia o al Canada. Oppure alla Svizzera che sta a due passi da qui e che dal XIII secolo, a seguito di successive aggregazioni (federalismo) di popoli aventi stirpe, storia, cultura, lingua e religioni diverse, ora è grande poco più di una grande regione italiana. Eppure riesce a dividersi in 26 Cantoni, veri e propri stati indipendenti con leggi proprie, grandi come i nostri comuni. Ma non basta, perché i Cantoni a loro volta si dividono in comuni, la gran parte piccoli o piccolissimi, anch’essi con le loro forti autonomie. Malgrado ciò l’intera impalcatura funziona, è proprio il caso di dirlo, come un orologio svizzero. Anzi è proprio quel minuzioso spezzettamento il segreto del suo successo. Sarà un caso che la Svizzera sia il territorio più povero di risorse dell’Europa, ma ci viva il popolo più ricco e civile del mondo? Oppure sarà perché togliere il potere dalle mani di pochi al centro per distribuirlo tra molti alla periferia fa un gran bene alla democrazia e la democrazia fa un gran bene alla qualità della vita?
“NON ABBIAMO BISOGNO DI BUONI POLITICI, MA….”
La mia chiave di lettura del problema sta tutta qui: l’attualità della politica italiana è piena di personaggi come Craxi, D’Alema, Berlusconi e Renzi che ci hanno promesso e ci promettono a ogni piè sospinto la Svizzera, e di gente che infantilmente gli crede. La Svizzera invece è piena di persone che, appena qualcuno promette loro la Svizzera, gli stroncano subito la carriera. E ciò vale per ogni paese civile davvero. Infatti nessuno è in grado di individuare il Renzi o il Berlusconi o il D’Alema o il Craxi locale che sia l’artefice di quella specie di paradiso in terra che sono Finlandia, Danimarca, Svezia, Nuova Zelanda ecc. Lì ha trionfato la massima dello svizzero J.J.Rousseau: “Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini”.
E’ bene ricordare che i problemi del Paese sono diventati rovinosi non nel 1975 quando le regioni videro la luce, ma negli anni ’80 quando prese il potere Craxi, uno che voleva fare “l’uomo solo al comando” e quasi ci riusciva se non l’avessero fermato i giudici di Manipulite. Fino ad allora il debito pubblico era – vado a memoria ‒ appena il 50% del PIL, ossia pari ad ogni paese normale. Con Craxi e il suo “decisionismo” in una decina di anni il debito pubblico raddoppiò e con il suo successore Berlusconi (altro decisionista con aspirazioni cesaree) in due decenni arrivò fino alle dimensioni attuali: più del 130% del PIL. Crebbe anche quando D’Alema (un altro con la voglia del Principe) salì temporaneamente in plancia. E continua a crescere ora che Renzi ce l’ha fatta davvero a diventare un uomo solo al comando: è segretario del partito di governo e capo del governo stesso (come Bresnev nella Russia bolscevica), tiene sotto scacco il Parlamento, controlla il CSM (ossia ha in mano tutti e tre i poteri costituzionali) e ha piegato la maggior parte dei media (il quarto potere). Dopo Mussolini non c’era mai stato al governo un simile autocrate. Ma la situazione è pericolosa non tanto per il Renzi in sé ma per ciò che la maggioranza dell’opinione pubblica pensa di lui.
Dispero seriamente che un giorno gli Italiani comincino a capire come davvero stiano le cose. La soluzione del problema non sta in quella riduzione dei livelli di democrazia sostenuta, nell’ordine, da Berlusconi, Napolitano, D’Alema e Renzi (“più potere all’esecutivo”: ossia più potere al Principe e meno al popolo). Al contrario, quella soluzione la si persegue solo aumentando la democraticità: costituzione dei contrappesi, diffusione e distribuzione del potere a livello territoriale, ossia tra la società civile. Insomma un uomo solo al comando non è la soluzione del problema, MA E’ IL PROBLEMA.