Mario Ascheri invita a far "emergere" i bottini non accatastati
SIENA. Tempo di presentazione del drappellone di artisti senesi: conferma di una creatività antica che sollecita nuove idee. Perciò, faccio un regalo al sindaco Valentini con un sogno di mezzo agosto che può essere forse apprezzato come idea da inserire in una qualche ipotesi di lavoro che solleciti soldi e lavoro (tanto, peraltro). Forse il piano di Siena Capitale della Cultura? La sua domanda sarà conosciuta tra breve (il venti settembre, giorno caro ai laici e ai cattolici illuminati…) e, impegnando 90 milioni, il sindaco-assessore alla cultura dovrà esaminarla attentamente, con tutto il rispetto per il collega Sacco: la responsabilità politica di un atto del genere (noto peraltro solo a pochi privilegiati che si conosceranno nominativamente il 20, immagino), deve essere chiara a tutti. Si ricordi, tanto per capirsi meglio, che investimenti del genere quando fatti bene, come è avvenuto in certe ‘capitali’, hanno prodotto dieci volte tanto. Ma veniamo al dunque.
Si sa della storica scarsità d’acqua della città e della sua storica genialità per la captazione e il buon uso di quella divenuta in qualche modo disponibile. Della rete dei bottini comunali, di quella rete che la benemerita Diana fa visitare e di cui cura anche la migliore conoscenza con nuove ricerche e la gestione del museo dell’acqua di Pescaia, si sa non dico tutto ma molto. Il Comune ci ha investito (bene) incredibili risorse in passato, per secoli con continui interventi che hanno portato innovazioni continue, abbandono di tratti e apertura di nuovi. Non a caso ogni carta dei bottini è espressione di una certa epoca, fotografa più o meno fedelmente una situazione storicamente determinata (con non pochi abusi di privati, che operarono sottoterra a proprio esclusivo vantaggio). Questi bottini, riconosciuti ufficialmente, se così vogliamo definirli, non sono accatastati e solo ora la Diana sta procedendo con i rilievi precisi dei vari tratti.
C’è un ulteriore problema, però. Ed è quello dei bottini oggi non riconosciuti come tali dal Comune. Il tronco principale è arrivato nel Campo solo nel Trecento, e solo entro quel secolo è stata realizzata la fonte Serena. Entro le cinta di mura antiche della città, cioè in Castelvecchio e dintorni, fino al Duecento, quindi per tanti secoli, i senesi utilizzarono pozzi e vasche di raccolta delle acque piovane e delle piccole vene reperibili, forse facendole passare per cunicoli oggi secchi; il tutto comunque sottostante proprietà private e oggi utilizzato, quando noto, come cantine o locali di sgombero. Di regola non accatastati e noti in modo frammentario, com’è esperienza di tutti noi.
Ora fare emergere questo sommerso è importante. A fini di conoscenza storica per molte questioni importanti (tecniche, rapporti con le mura, insediamenti più antichi ecc.), a fini di utilizzo, perché no?, turistico-culturale e a fini di prevenzione di danni sempre possibili finché, a differenza di altre realtà (come Orvieto e Orte) il nostro sottosuolo più antico sarà un grande sconosciuto, essendo ormai interrotto da anni il lavoro svolto per qualche tempo dal prof. Armando Costantini e dai suoi collaboratori in modo ‘scientifico’.
E’ chiaro che il Comune deve provvedere a lanciare una proposta ai privati perché acconsentano alle ispezioni necessarie, preventivamente assicurando l’esenzione da nuove tasse e garanzie per eventuali danni. Quanti giovani studiosi, tecnici e collaboratori possono trovare lavoro in una grande impresa di radiografia del sottosuolo più antico come questa?
Mi sembra che l’immagine della città ne uscirebbe fortemente rafforzata. Quanto ne ha bisogno dopo le voragini apertesi (nelle casseforti soprattutto) recentemente!
Unesco, Europa o altre istituzioni pubbliche e private non vorranno legare il proprio nome a un investimento duraturo, serio e affidabile su Siena?
Mario Ascheri -Club Unesco Siena