SIENA. Eh sì, anche Siena deve fare i conti con la crisi. Ed allora, per venire incontro alle nuove emergenze ed alla crescente carenza di soldi, si mettono in campo una serie di tagli ed una serie di iniziative alquanto bizzarre.
Ora, come sempre accade nelle migliori famiglie, nella città del “Buongoverno” (quello del Lorenzetti però!) si fanno i conti con i pochi spiccioli rimasti e si pensa a come sfruttare al meglio quel poco che abbiamo. Spremendosi al massimo le meningi, cosa alla quale i nostri politici non erano affatto abituati, ci si rende conto che bisogna inventarsi comunque qualche buona nuova. Tasse e balzelli sono ormai al massimo ed allora cosa rimane?
La risposta è: il patrimonio culturale, artistico, storico, insomma tutto ciò che fa della nostra città un’ambita meta turistica.
E qui mi viene da mettermi le mani nei capelli, ma siccome ne ho pochi e, metterle in un altro posto non sarebbe troppo educato, ho preso carta e penna provando a dirvi la mia. Dopo i millantati milioni per Siena Capitale Europea, che non arriveranno perché non abbiamo vinto, e dopo quelli promessi dalla Regione, che non sono ancora arrivati, qualcosa bisogna inventarsi ed allora riecco il Santa Maria della Scala che, tra una zumba e un’altra, speriamo venga finalmente sfruttato per le enormi potenzialità intrinseche ed il reale valore storico culturale che rappresenta. Visto che abbiamo sempre sovvenzionato (anche con i soldi nostri) enti di livello come “Qualivita”, impegnati nel riconoscimento delle tipicità locali, i “food” e le americanate lasciamole a quelle città dove non hanno niente di proprio da proporre.
Ma veniamo al dunque. Tra le tantissime cose che non mi sono piaciute negli ultimi anni, ce n’è una che proprio non sopporto ed è legata alla “francigena” in val d’Arbia. Recentemente è stata aperta una pista, non si sa se ciclabile, pedonale o tutte e due (poiché ci vedo gente a piedi e sulle due ruote contemporaneamente), in una delle zone (paesaggisticamente parlando) più brutte della val d’Arbia. Il vecchio tratto della francigena che passava da Borgo Vecchio, dove tra l’altro era ubicato un antichissimo “spedale”, è stato letteralmente spostato vicino all’Arbia ed ora passa proprio in mezzo alla stupenda e “storica” zona industriale detta di “Siena Sud”. Me lo immagino proprio il Vescovo Sigerico sul dorso del mulo, che nel 994, almeno così racconta lui stesso nel celebre diario, volle sostare alla Metalferro per rifocillarsi o alla “submansione” della Detercom, dove venne quasi investito da due ciclisti.
Ragionando più seriamente, credo che, come spesso succede, da qualche parte sia spuntato un finanziamento e, pur di accaparrarselo, vista la penuria attuale, si sia deciso in ogni modo di prenderlo a tutti i costi. Naturalmente ciò ha significato far lavorare qualcuno, far girare l’economia e quest può essere positivo, ma perché far finta che quello era il percorso della “francigena”? Non poteva essere una semplice pista ciclabile come ce ne sono in tanti altri posti? E invece no! Si è dovuto far finta che ricalcasse un antico sentiero ed addirittura si è variato il percorso ufficiale (e mappato) del Sito europeo della Francigena, non considerando che ci sono ancora molti stranieri e siti poco aggiornati che utilizzano il vecchio tracciato (anche quello definito “ufficiale”).
Così si sono perse le due pensionate tedesche che l’altra settimana avevano percorso a piedi il tratto da Renaccio all’Isola e poi, non trovando più indicazioni ed avendo le mappe precedenti alla variazione, sono arrivate alla “Troiola” (San Giorgio) sfinite e consapevoli di dover fare tre chilometri per ritornare di nuovo sul giusto percorso. Anche i due giovani architetti di Genova che percorrevano la tappa da Siena a Ponte d’Arbia (l’avevano fatto anche lo scorso anno), fermati al bar dell’Isola hanno esplicitamente detto: questa nuova variante è proprio brutta! Siccome la nostra amata regione e chi si occupa di “francigena” ha sempre detto nei vari convegni che, in questo progetto, ha un’importanza vitale il “passaparola” tra i pellegrini, credo che il tutto non abbia giovato alla causa.
Ma voglio dirvi di più.
Nella mie ricerche storiche sulla val d’Arbia (tratto Isola d’Arbia-Ponte d’Arbia) sono riuscito a recuperare una ventina di documenti, dove compare, a partire dai primi del 1200, la dicitura “strata francigena” e che non corrispondono nemmeno al vecchio percorso. Con questa documentazione e con il Vice Sindaco di Monteroni mi sono recato dieci mesi fa in Regione Toscana, per far valere queste carte e riuscire ad ottenere una variante al percorso ufficiale. La francigena del 1200 ad esempio, passava da Tressa, Monteroni, Lucignano e Curiano, tutte località non toccate assolutamente dal percorso ufficiale.
Il responsabile però ci fece notare (non del tutto ingiustamente) che questo percorso era già stato deciso da molti anni ed ora era troppo tardi per cambiarlo perché altrimenti si doveva rimettere di nuovo mano alle mappe, rifare tutte le piantine, la cartellonistica e la messa in sicurezza del sentiero. Nonostante tutto, pensammo che non era il caso di insistere troppo. Non volevamo avere il rimorso di pesare sul bilancio regionale per un eccesso di campanilismo. E così la francigena ufficiale oggi non passa da Monteroni ed abbiamo perso il business.
Ma come ha fatto invece Valentini ad ottenere una variante? Forse il tratto Renaccio-Borgovecchio non aveva ancora la cartellonistica? Forse non era ancora stato messo in sicurezza?
Dunque, alla fine del salmo, ora sono ben due i tratti di francigena dove sicuramente questa antichissima strada non è mai passata.
Ecco perché è il business che cambia la storia e non viceversa.
Augusto Codogno