Giovanni Minnucci "E idee per disegnare un futuro possibile..."
![](https://www.ilcittadinoonline.it/wp-content/uploads/originali/cut1348417426599.jpg)
SIENA. Cara Direttrice, La ringrazio vivamente e di vero cuore per la sua bella ed articolata risposta al mio intervento del 29 agosto scorso.
Insieme a Lei ringrazio tutti i lettori intervenuti; in particolare coloro che (fra i quali molti privatamente) hanno confermato il loro apprezzamento per l’impegno che ho profuso nel corso nel biennio 2009-2010 in occasione della crisi dell’Università di Siena. Vorrei però aggiungere qualche ulteriore elemento di riflessione, perché temo che le mie parole possano aver generato dei fraintendimenti: esse erano dettate, come quelle che scrivo oggi, esclusivamente dalla “coscienza civile” di chi è fortemente preoccupato per la propria Città e per coloro che, di questa Città, dovrebbero costituire il futuro: le giovani generazioni alle quali, stando così le cose, lasceremo una pessima eredità.
Nel richiamare la mia precedente esperienza c’era solo una constatazione dei fatti, unita al tentativo – espresso attraverso la narrazione sommaria di una personale e parziale vicenda – di operare una similitudine fra due difficilissime situazioni: quella dell’Università e quella, attualissima, della Città, per trarne materiale di riflessione, innanzitutto personale, e nel tentativo di individuare una delle possibili chiavi di lettura del perché la Società civile cittadina, come da lei sottolineato, appare silente.
Ed a proposito di quest’ultimo tema – che è quello da lei molto opportunamente sollevato – mi permetterà un’ulteriore riflessione. Restando nell’ambito della similitudine, ora come allora continuo a pensare, e mi sembra di averlo scritto chiaramente che, per far rinascere la nostra Città (e lo scrissi a suo tempo anche in relazione all’Università), occorre l’impegno di persone competenti, oneste, disinteressate, attente al “bene comune” e non a quello del proprio “particulare”. Il perché è presto detto: con le persone (e la società civile potrebbe dare ancora molto), ma soprattutto con le loro idee – senza le quali si va evidentemente poco lontano – occorre disegnare un futuro possibile, senza scrivere “libri dei sogni”. Non so se tutto questo avverrà. Non so se i “partiti” o i “movimenti” vorranno farlo; se avranno la forza, la voglia, la capacità di confrontarsi sui problemi della città con i cittadini; se saranno in grado di intercettare le “buone idee” che la città nel suo insieme può ancora produrre.
A questo proposito, ho letto, di recente, un intervento di Fulvio Mancuso. Conosco Fulvio da molti anni, non foss’altro perché siamo docenti della stessa disciplina, e ne apprezzo – non è un mistero – l’attività scientifica sempre prodotta con serietà e rigore. Non entro nel merito delle sue riflessioni relative al Partito al quale è iscritto. Vi sono molti altri punti che hanno, di per sé, valenza generale, sui quali ragionare e discutere. Ne vorrei cogliere almeno uno che è strettamente connesso a quanto ho sopra rammentato e che condivido pienamente: la necessità di un ritorno fecondo al dialogo con la Società civile.
La grave crisi che attanaglia il “sistema dei partiti” sta, innanzitutto, in una sorta di “autoreferenzialità”, che è uno dei mali di molti gruppi sociali del nostro Paese e che, progressivamente, si è impadronita, sempre di più, ed in maniera eclatante, dei partiti politici.
Cerco di spiegarmi meglio. Credo che mai, come in questi ultimi anni, sia stato profondamente tradito, nella lettera e nello spirito, l’articolo 54 della Costituzione: quello, per intendersi, che richiede “disciplina ed onore” a tutti coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche. Perciò, fino a quando la battaglia politica resterà ancorata ad un leaderismo fine a sé stesso (e questo “vizio” capitale pervade il nostro Paese da almeno vent’anni) finalizzato ad individuare il soggetto unico al quale affidare il destino di un Paese, di una Comunità, con il rischio fondatissimo che si generi non un “sistema virtuoso” ma un “sistema feudale”: il che è già abbondantemente accaduto; fino a quando la politica resterà semplice comunicazione, magari stravolta o manipolata, ma non studio, approfondimento e tentativo di risoluzione dei problemi; fino a quando la politica resterà spartizione di posti di responsabilità per appartenenza, per amicizia, per convenienza e non, quanto meno, per competenza; fino a quando la politica sarà offesa, denigrazione – e a questo spettacolo stiamo assistendo in Italia da sin troppo tempo addirittura all’interno dello stesso partito politico – e non confronto, anche duro e serrato, per individuare le vie di uscita…… quella che lei chiama la Società Civile resterà al chiuso delle sue sicurezze (ora molto, ma molto vacillanti) e non si impegnerà minimamente.
Ebbene, altrimenti detto, in una società sempre più difficile da governare in ragione del suo continuo modificarsi, il che acuisce la complessità dei problemi, occorre che i Partiti tornino ad aprirsi, finalmente, ad un rapporto fecondo con la Società, ne colgano i cambiamenti, si intersechino e si integrino con essa. La vivano. Nel corso della cosiddetta seconda Repubblica tutto ciò non è accaduto. E’ accaduto esattamente il contrario. La politica dei partiti si è allontanata dalla “polis”: un allontanamento etico e, non parrà strano sostenerlo, anche estetico. Gli spettacoli ai quali stiamo assistendo da anni e, al di là di ogni immaginazione, in questi ultimi giorni, si commentano da sé.
A mio modesto avviso, se il sistema dei Partiti (e, non dimentichiamolo, essi sono previsti dall’art. 49 della Carta Costituzionale) non coglie l’incombente necessità di cambiare totalmente rotta (ma il cambiamento non può essere, al solito, di facciata, ma dev’essere profondissimo), la “società civile” si allontanerà sempre di più da loro, con la conseguenza di una vera e propria implosione di un modello di civiltà – lascito di una storia fatta di idealità, ma anche di lacrime e sangue – per dirigersi verso l’ignoto. Credo che Fulvio Mancuso, fra i tanti punti toccati, abbia còlto questo pericolo e, saggiamente, abbia voluto aprire, almeno dal suo punto di vista, un confronto aperto anche ai contributi della “Società civile”.
Per quanto riguarda la nostra Città, mi permetto di aggiungere che essa – e dovrebbero iniziare a farlo proprio i partiti – dovrebbe essere più attenta alla sua storia prestigiosa e tentare di ispirarsi ad essa. Forse, una lettura “profonda”, e non superficiale o, ancor peggio, propagandistica, delle allegorie “civili” degli affreschi del “Buon Governo” di Palazzo Pubblico – un’epoca, per l’appunto, che certamente non fu caratterizzata dall’uomo solo al comando – potrebbero aiutare “a riflettere” perché esse, di per sé, indicano a tutti, indistintamente, la strada “buona” che in futuro occorrerà percorrere. Le allegorie del “Cattivo Governo” sono lì, apparentemente mute, ad indicarci tutto quel che andava evitato e che, in futuro, occorrerà evitare.
Cordialmente suo