Storia di un colloquio di lavoro fallimentare. Ma non per colpa di un giovane laureato..
SIENA. Srivo per raccontare questa storia.
Innanzitutto mi presento: mi chiamo C. V., classe 1987, laureato in materie scientifiche. Sono un giovane come tanti altri che cerca la propria strada nel mondo del lavoro in Italia, ma con un occhio sempre teso verso l’oltralpe, perché non si sa mai, di questi tempi. Per fortuna, lavoro continuativamente da quando mi sono laureato, ma resto sempre alla ricerca di quell’occasione che faccia avverare le parole di Confucio: “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”.
Al loro inseguimento, mi sono trovato, lunedì 24 luglio, nelle campagne intorno a Siena. Ero atteso dall’amministratrice delegata di una società. Puntuale, alle ore 15, mi presento e chiedo della dottoressa. Mi viene detto che la signora non è in ufficio e non si sa quando potrebbe rientrare. Mi accomodo, al fresco, e aspetto, mi riposo da 260 km fatti in auto. Mi intrattengo osservando il via vai di muratori che stanno alacremente sistemando alcuni dettagli della struttura. Trascorsa una mezz’oretta, arriva la dottoressa, cordialmente non mi saluta e invece viene rapita dalle braccia degli operai. “Dottore, mi dà cinque minuti che parlo con questi signori?”. Sorrido ed annuisco. Evidentemente sarà più importante. Si saranno fatti anche loro ore di auto.
Arriva finalmente il mio turno e vengo accompagnato di sopra. Ci accomodiamo in una saletta, nell’attesa che vengano ritrovate le chiavi dell’ufficio della dottoressa, perse come il mio sguardo nel tentativo di trovare telecamere nascoste, no dai! Sarà uno scherzo!
Il nostro, eufemisticamente detto “colloquio”, viene continuamente interrotto da colleghi della dottoressa. Non riesco nemmeno a tenere un filo del discorso che stavo facendo. “No, si figuri”. Quello l’ho detto di sicuro. Me lo ricordo!
Le chiavi vengono finalmente trovate! Evviva! Ci spostiamo nell’ufficio dell’amministratrice delegata, pensate. In effetti sì, faccio in tempo a sedermi, ma “Dottoressa, si ricorda della telefonata delle 16?”, l’ ennesima testa fa capolino dalla porta. “Dottore, mi scusi può attendere una mezz’oretta. Poi riprendiamo?”.
Sorrido, declino l’invito e me ne vado. Il cellulare segna le 16.11 quando chiudo la telefonata con mio padre. Avvio l’auto, aria condizionata, occhiali da sole, radio e faccio ritorno a casa.
Umiliato. Solo questo pensiero per troppi chilometri.
Conosco un’Italia migliore di questa, ne sono sicuro. Conosco amministratori delegati migliori di questo, ne sono sicuro.
Racconto questa storia perché la si conosca. In fondo, è ordinaria amministrazione? No, non deve esserlo.
Non stupiamoci, non stupitevi, se dopo una laurea, un master, ce ne andiamo da questo Paese. Così vanno le cose, non generalizzo. Ma quanti altri potrebbero raccontare un’avventura simile?
Grazie per il tempo, almeno voi.
Saluti
Lettera firmata