SIENA. Parlar male, oggi, della Siena Biotech, senza una parola di solidarietà per chi rischia di perderci il lavoro è un po’ come sparare sulla Croce rossa.
D’altra parte, la Storia è piena di bravi soldati, che hanno combattuto (spesso con valore) per cause perse, sotto il comando di generali inetti. Il grosso pubblico reputa che la ricerca scientifica sia cosa buona in assoluto, e ne considera i centri ove essa si svolge come i monasteri di un tempo: dove i monaci levavano preghiere per implorare la fine di una pestilenza o di una carestia.
La realtà è molto diversa. Secondo le stime di un importante istituto internazionale per la valutazione della qualità della ricerca, solo l’8% delle pubblicazioni scientifiche contribuisce a far avanzare la conoscenza. Il restante 92% riguarda conferme, rifiniture e, soprattutto, banalità.
Se si considera che solo una minima parte di quell’8% potrà generare innovazioni significative per il benessere della società, si capisce quanto il successo nel campo della ricerca sia realmente raro.
Ricordo, in proposito, quanto soleva ripetere Albert Sabin:
“E’ facile darsi da fare in laboratorio. Il difficile è farlo utilmente”.
Anche la fiducia illimitata nella quantità di denaro investita è fuorviante. Serbo nella mente un’altra massima che ho appreso da un premio Nobel, col quale ho avuto l’onore d’iniziare la mia carriera scientifica, il prof. Boris Chain, che condivise il prestigioso premio con Fleming e Florey:
“Il denaro è importante, ma usarlo bene lo è di più”.
Credo che queste semplici considerazioni siano sufficienti a chiarire come Siena Biotech sia un altro classico prodotto di quel ‘groviglio armonioso’ che ha ridotto la nostra Città allo sfascio.
La Scienza è una faccenda seria, e affidarne le sorti a politici, bancari e avvocati non può che condurre al disastro.
La Siena Biotech, però, non è stata tanto un errore dal punto di vista tecnico scientifico (anche!), ma soprattutto da quello politico. Infatti, la cosa che serviva di meno, per mettere in sicurezza il distretto biotecnologico senese, nato dalla diaspora della vecchia Sclavo rispetto agli imprevedibili disegni delle varie multinazionali, perno del sistema, era un centro ricerche. Tale, infatti, essa ha finito con l’essere, seppur camuffata da start up. Nata senza avere un brevetto veramente originale, o di una tecnologia propria, o del controllo riconosciuto di un segmento di mercato (condizioni essenziali per destare interesse in investitori sani di mente), Siena Biotech ha avuto soprattutto funzioni d’immagine, grazie a una disponibilità praticamente illimitata di denaro. Sicché, al momento che il sistema Siena è andato in crisi, e il flusso di denaro si è arrestato, l’impresa è necessariamente andata in coma. Ovviamente, l’obiettivo ufficiale suonava in altro modo: un’impresa per finalità proprie per differenziare le attività della Fondazione.
Siena Biotech, quindi, ha cominciato a funzionare, partendo da zero, (per quanto riguarda la scienza, ma da una disponibilità finanziaria spropositata. E, soprattutto, a tempo indeterminato. quale sarebbe richiesto (ma non è vero!) dalle imprese di alta tecnologia. Il tutto, condito con succulenti compensi per consiglieri, consulenti e direttori. Insomma: un ‘poltronificio’ in piena regola. (C’era anche un Comitato per prevenire il rischio di ricerche non etiche: un doveroso tributo al politically correct!)
Quando, come esperto della materia, esternavo questi miei dubbi a personaggi di vario calibro intricati nella vicenda, ne ricevevo un compunto – direi quasi – doloroso assenso: salvo vederli correre, un momento dopo, a incassare lauti gettoni o a pietire piccoli favori.
Tra i molti che hanno contribuito a creare la leggenda della Siena Biotech, forse le colpe maggiori vanno a molti miei ex colleghi, il cui compito era quello di tranquillizzare gli amministratori della Fondazione (digiuni sia di creazione d’imprese che di Biotecnologia), fornendo le coperture scientifiche d’occasione.
Ora che i buoi sono scappati, sarà difficile recuperare, anche in parte, quanto la Siena Biotech ha inghiottito (si parla di 160 milioni). E pensare cosa si sarebbe potuto fare di realmente utile e sensato per il mitico ‘Territorio’, con simili risorse! Ad esempio: promuovendo e sostenendo lo sviluppo di competenze cruciali nella nostra Università; o creando servizi accessibili a tutte le imprese biotecnologiche operanti autonomamente nel territorio.
Cose serie ma – ahimè – poco adatte per pompose inaugurazioni.
Paolo Neri