La banca tra verità tradite e spoglie da smembrare
SIENA. Oramai a Siena e dintorni c’è la corsa a riposizionarsi, a presentarsi tutti puri come angeli. Politici, gazzettieri/velinari e cortigiani, da sempre attori/laudatori/beneficiari del celeberrimo “groviglio armonioso”, da tempo hanno innestato la retromarcia e sono diventati i più sferzanti censori del Sistema Siena. Buon ultimo arriva il nostro Enrico Rossi da Firenze che, colto da un irrefrenabile e sincero – c’è da giurarci – desiderio di verità, ha pensato bene di “intimare” al Monte di fornirgli il catalogo segreto dei beneficiari dei “crediti facili” per, così afferma, “capire meglio l’intreccio politico e affaristico che ha attraversato il Monte dei Paschi durante la gestione Mussari”.
Sentire il Rossi fare il moralizzatore di Siena provoca due reazioni opposte:
1) prima senti nascere una gran voglia rotolarti a terra dal ridere di fronte ad una battuta così comica che solo il grande Crozza potrebbe emulare
2) poi ti rendi conto che quelle dichiarazioni sono un’offesa vigliacca e allora le vene del collo ti si ingrossano paurosamente e le senti pulsare come se galoppassero.
Ma il Rossi che casca dal pero perché ancora non ha capito cosa non funzionasse nel controllo del Monte è lo stesso signore che dal 2010 ricopre l’augusta carica di presidente della Regione Toscana, cioè di quella Regione che designa un suo rappresentante nella Fondazione Mps, mandatario che non risulterebbe mai aver votato contro Mussari e compagnia né aver mai chiesto lumi sui crediti facili erogati dal Monte?
E’ lui o non è lui quello specchiato politico che ha fatto tutta la sua splendida carriera nel Pci/Pds/Ds/Pd senza che ci si ricordi di un suo intervento critico sul Sistema Siena notoriamente imperniato sul dominio assoluto del suo partito? Qualcuno può ricordare una sua dichiarazione critica sull’acquisizione di Antonveneta, voluta fortemente sempre dalla sua casa madre?
Le sue richieste, caro Rossi, sono quanto di più strumentale e ipocrita possa esserci sul mercato dell’effimero, ma tranquillo, se le può permettere visto che a Siena non si muove foglia. Per scalfire la celeberrima imperturbabilità dei senesi ci vuole ben altro che la distruzione del Monte e di ¾ della Città.
Ma alla fin fine suvvia, il nostro presidente toscano fa quasi tenerezza: per recuperare una verginità mai avuta sfiora il ridicolo e si vota stoicamente ad essere bersagliato senza difesa alcuna, come un bimbo innocente colto con le mani nella nutella.
Preoccupano assai di più invece quei camaleonti trasformisti che a Siena trovano un humus fertile, quegli pseudo oppositori del regime, opportunisti o prezzolati che siano, che si annidano nel ceto politico, nei media e nelle associazioni civili.
La tattica è quella di alzare un polverone generale sotto il quale nascondere la verità, creando una confusione tale sulle responsabilità che alla fine le colpe sono di tutti e quindi di nessuno. La parola d’ordine è sparare nel mucchio, colpevolizzare tutti e tutto, cercando di tenere celato il manovratore del sistema.
Cari signori, violare, calpestare la verità è un delitto: è doveroso quindi continuare a gridarla sempre e dovunque, affinché lupi e avvoltoi sappiano che non riusciranno a tenere nascoste le loro vergogne.
La prima di quelle, il big bang dal quale ha preso il via l’universo del Monte destinato all’autodistruzione, è l’enorme conflitto di interessi esistente fra il Pci/Pd e la banca, sigillo di quel groviglio perverso che è stato considerato un esempio di buongoverno da seguire. Ecco allora che questo assioma incontrovertibile va assolutamente confutato, asserendo che tutti sono colpevoli allo stesso modo, governo locale e opposizione (sempre che ci sia stata opposizione a Siena), generali e caporali, e che quindi sul banco degli accusati devono salire uno accanto all’altro sia coloro che hanno goduto di pranzi pantagruelici sia chi, come il Lazzaro alla senese, si è accontentato di nutrirsi delle briciole di favori che cadevano dalla tavola del Bengodi di Siena.
Fateci caso: questi novelli censori, compromessi con il regime, nelle loro dichiarazioni parlano sempre di colpe del sistema partitocratico ma si guardano bene dal nominare il Pci/Pd. Se poi non possono proprio farne a meno ecco che provvedono subito alla chiamata in correità di qualche altro partito, o soggetto istituzionale, imputando loro lo stesso grado di responsabilità.
Allora proclamiamo chiara e forte quest’altra verità. Il Monte era un hotel a 5 stelle con la porta girevole da cui entravano i compagni del partito, i quali poi, dopo aver svolto il loro compitino a favore degli interessi del mandante, rientravano ai vertici delle istituzioni politiche e sociali di Siena. E viceversa. Chi erano i controllori e chi i controllati? Vattelapesca…
Non si contano i sindaci Pci/Pd di Siena provenienti dal Monte e dal sindacato Cgil – con quest’ultimo che aveva un posto riservato nei Cda della banca – e poi rientrati con incarichi ai vertici della banca o di società del Gruppo. La tessera del Pci/Pd, d’altronde, è sempre stata una garanzia per far carriera nel Monte. Per non parlare della miriade di finanziamenti ai vari organismi del partito e associazioni contigue che arrivavano dalla banca rossa per eccellenza.
Dottor Rossi le chiedo: sono stati tutti restituiti fino all’ultimo euro? Me lo dica, lei non può non saperlo.
E intanto gli sciacalli di Bruxelles, Francoforte e Berlino stanno completando il loro lavoro di impresari di banche funebri, spartendosi le spoglie mortali di quella di Siena, dopo averla colpita ai fianchi proditoriamente.
Ma il Monte, come risaputo, è un semidio: coraggio, non disperiamo.
Marco Sbarra