Il razzismo sotto traccia della sedicente-sinistra
SIENA.
di Mauro Aurigi
Ho letto l’intervento di Alessandro Di Battista su Il Fatto del 28 ottobre (“Migranti, Erdogan ricatta la Ue. La risposta non è l’accoglienza”), e la replica di Furio Colombo sull’edizione del 1° novembre (“Perché non condivido Di Battista sui migranti”).
Premesso che mi trovo alquanto d’accordo con Di Battista e molto meno con il commento di Colombo, vorrei sottolineare il fatto che ambedue citano per intero questo brano della recente enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti: “Coloro che emigrano sperimentano la separazione dal proprio contesto e spesso anche uno sradicamento culturale e religioso. La frattura riguarda le comunità di origine che perdono gli elementi più vigorosi e intraprendenti e le famiglie quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine. Di conseguenza, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”.
Ma nessuno dei due ha osservato che questa frase sembra estrapolata esattamente dalla posizione che in materia di emigrazione il PCI del dopoguerra assunse contro la politica dell’allora DC che favoriva l’emigrazione italiana verso il nord Europa. Scuso Di Battista perché troppo giovane e allora non era neanche nato, ma non scuso troppo Colombo che certe cose dovrebbe ricordarsele bene e che forse in questa occasione avrebbe dovuto citarle.
La sinistra dell’epoca infatti ingaggiò una feroce polemica contro il governo allora a guida di una DC generalmente identificata con la destra, che venne addirittura criminalizzata. In effetti erano stati davvero stipulati patti come quello con il Belgio: tot tonnellate di carbone per ogni Italiano disposto a scendere nelle miniere dove i Belgi non volevano più scendere (dal 1946 al 1963 gli Italiani morti nelle miniere in Belgio furono 867 – nella sola Marcinelle 136 – su un totale di 1126 vittime). Agli emigrati il governo DC assicurava quel passaporto che era difficilissimo ottenere (leggi fasciste ancora in vigore) e pagava addirittura il viaggio (solo andata, ovviamente, e solo per l’interessato, non per la sua famiglia). Lo squallore dei semi spopolati paesi dell’Appennino meridionale era tale che, mentre le mogli di quegli emigrati venivano definite “vedove bianche”, ci furono ricerche demografiche che parlavano addirittura di un complessivo deterioramento intellettivo di quelle comunità perché ad andarsene erano sempre gli elementi più svegli e animosi (fenomeno accennato anche da Papa Francesco nella sua enciclica e che oggi si verifica a livello nazionale con i nostri giovani laureati alla ricerca di una sistemazione che, vergognosamente, il Paese non è in grado di assicurare loro).
Che dire? Io sono rimasto dell’idea dell’allora PCI, ossia che favorire comunque l’emigrazione sia un crimine, almeno politicamente parlando. E tutte le volte che penso alla giravolta di 180° effettuata dalla pseudo-sinistra odierna mi sorge subito il dubbio che in realtà allora abbia criminalizzato l’emigrazione solo perché riguardava i “bianchi”, ma ora, se invece riguarda i “negri”, è la benvenuta.
Mauro Aurigi