"Papesse: una gestione non centrata sull
SIENA. Caro Marco, Leggo con tristezza e indignazione di questo attacco portato alla tua persona, sia a livello politico sia professionale. Non commento il tuo appoggio alla candidatura di Neri (in quanto, tua scelta personale e insindacabile, oltre che diritto inalienabile), ma sì sento di dover esprimere alcune parole di solidarietà sul piano politico e professionale.
Dopo alcune decadi spese nel settore della cultura (ivi incluso quel turismo culturale che dovrebbe essere motore economico e principale risorsa per una cittadina come Siena), posso con tranquillità affermare che raramente mi sono imbattuto in una persona più corretta, eticamente inattaccabile, coscienziosa e generosa di te in ambito professionale. Non dico questo in nome dell’amicizia che ci lega, ma per esperienza diretta, per l’aver fatto parte di un team affiatatissimo che è cresciuto professionalmente fino a distinguersi per competenza e capacità, nonostante un clima politico avverso e i continui attacchi che la pilotata stampa locale ci riservava.
Sotto la tua direzione siamo tutti cresciuti enormemente e le Papesse sono riuscite (contro qualsiasi pronostico) non solo a ripianare il bilancio disastrato ereditato dalla precedente gestione, ma a proporre un programma ricco e articolato di livello internazionale, ma soprattutto sostenibile. Ancora oggi, nei miei pellegrinaggi in giro per il mondo, incontro persone che ricordano con emozione mostre presentate alle Papesse, per la loro unicità e ambizione, oltre che per il loro riuscire a ricontestualizzare Siena, riportandola così nel presente e anticipando scenari per il futuro.
Conta poco qui dire che il programma delle Papesse si è guadagnato dalle pagine del Financial Times a quelle di tutti i maggiori quotidiani italiani. Ciò che invece preme è sottolineare il rispetto che ti sei guadagnato sul campo, portando avanti una gestione non centrata sull’individualismo e il vantaggio personale, ma sulla condivisione. Credo che le Papesse ci abbiano resi tutti persone migliori, professionisti più qualificati i cui meriti e competenze sono spendibili a livello internazionale. Non so quanti altri direttori di museo in Italia possano dire lo stesso. Per conto mio, sento di esserti molto grato per l’aver scommesso su di me e per l’avermi dato un’opportunità importante, senza la quale non sarei l’uomo che sono oggi.
Credo anche che l’esempio da te portato nella gestione del centro (il fatto non proprio irrilevante che per avere un posto di lavoro non bisogna avere per forza la tessera del partito di convenienza o “andare a letto con il padrone” in senso figurato come proprio) sia stato di vitale importanza. A me, ad esempio, ha dato fiducia nelle istituzioni e, in qualche modo, nelle persone. Io non so di quali mirabili budget parli il Valentini, ma so per certo che i nostri compensi erano allineati con la mole di lavoro e impegni che dovevamo affrontare. Niente al confronto delle consulenze e sprechi che ci circondavano. Ma soprattutto non capisco Valentini, questo suo accanirsi post-mortem contro la Papesse, quando il suo partito ci ha chiuso già nel 2008, nonostante il sindaco Cenni avesse dichiarato in campagna elettorale il contrario. Non capisco neppure come osi sciacquarsi ora la bocca con il rilancio del Santa Maria della Scala, struttura nata nell’inciucio, il cui destino era segnato da anni e a cui abbiamo portato un po’ di linfa vitale fino a quando è diventato palese che non c’erano volontà politica e istituzionale per farlo se non decollare, almeno partire.
Nella totale incapacità di proporre alternative, senza avere alcuna visione sul come sanare lo scollo creatosi fra la stupenda arte medievale e il deserto culturale che caratterizza la città di oggi, le Papesse sono state fatte morire colposamente. E non parlo qui degli individui, che quelli sì si sarebbero benissimo potuti rimpiazzare, ma dell’istituzione. Le stesse responsabilità ricadono su quanti hanno fatto del Santa Maria della Scala un manuale perfetto di tutti gli errori che si possono umanamente compiere nell’ambito delle politiche culturali. Francamente, mi stupisco che proprio coloro che hanno reso Siena desertica (brucando ogni filo d’erba fino all’estinzione di ogni specie) possano ora ambire al suo rilancio culturale: morta l’università, finita la Fondazione…
Chiudo dicendo che Siena, come il resto d’Italia, è un luogo assai strano visto da qui: dopo aver investito sugli individui fino a portali alla maturità professionale, li getta e lascia che altri godano dei frutti. Parafrasando la Pia de’ Tolomei mi verrebbe da dire “Siena mi fe’, ma poi se ne scordò”.
Lorenzo Fusi