Donatella Cinelli in difesa delle piccole cantine e delle piccole denominazioni
MONTALCINO. Vogliamo che i vignaioli rimangano in campagna? Oppure vogliamo che vendano i loro casali a ricchi stranieri e i loro campi ai big del vino trasformando le zone rurali in Disneyland contadine?
Se vogliamo una campagna toscana popolata da famiglie contadine dobbiamo dare loro un reddito e una dignità.
Con anni di lavoro paziente, la Regione Toscana tramite Toscana Promozione, aveva messo a punto un borsino dei vini che era un autentico gioiello: BUY WINE. L’unica regione in Italia dotata di uno strumento veramente efficace per internazionalizzare le cantine e le denominazioni piccole o medio piccole cioè quelle che non hanno le risorse per trovare importatori attraverso fiere e altri eventi all’estero.
I rumors dicono che BUY WINE non ci sarà più e io mi chiedo: riusciranno i vignaioli toscani meno fortunati (non quelli del Brunello o del Chianti Classico) a rimanere tali?
L’IMPORTANZA DELLE PICCOLE CANTINE DI QUALITA’
Prima di descrivervi BUY WINE è giusto sottolineare TRE aspetti: la stragrande maggioranza dei buyer è piccolo e compra una o due “palette” (di 600 bottiglie ciascuna) ogni anno dalle cantine nel suo portafoglio. Si tratta di enoteche o catene di 3-4 ristoranti che sono gli acquirenti ideali per le aziende agricole con meno di 10 ettari di vigna cioè della stragrande maggioranza di quelle che imbottigliano il loro vino. Questi importatori vengono invitati dalle amministrazioni locali affinchè comprino. Se non verranno in Toscana andranno nella Rioja oppure a Mendoza in Argentina.
Secondo: da un’amministrazione di sinistra ci aspettiamo una particolare attenzione alle famiglie vignaiole che sono il presidio della campagna e che possono sopravvivere solo trovando importatori. Le grandi cantine partecipano continuamente a fiere e eventi all’estero, ma le piccole non possono permetterselo per loro BUY WINE era una grandissima opportunità.
Terzo aspetto: sono stufa di sentire la frase “bisogna puntare sui locomotori, sui grandi marchi del vino che aprono i mercati” . Una simile strategia porta le grandi imprese del vino a diventare sempre più grandi e le piccole al ruolo di conferitori di uva e di vino com’era nel passato. Seguendo la logica sostenuta dai grandi e da una parte della stampa specializzata e forse sensibile agli investimenti pubblicitari, vanifichiamo il lavoro di vent’anni per trasformare i vignaioli in imprenditori capaci di arrivare al consumatore finale con il proprio marchio. Mi chiedo se una simile strategia sia davvero conveniente anche per i big del vino. Se infatti le grandi cantine avrebbero un immediato vantaggio a ricevere una maggiore fetta dei fondi OCM per la promozione all’estero, come stanno chiedendo, alla lunga potrebbero essere danneggiate dall’eclissi di quel tessuto di piccole eccellenze che nel passato, ha trainato il successo del made in Italy enologico grazie all’apprezzamento della stampa e dei ristoranti stellati. In un’epoca in cui i millennials cioè i giovani consumatori che fanno tendenza, scelgono il “piccolo e diverso” cioè le cantine familiari più radicate nei territori e più attente all’ambiente, mettere in ombra le piccole realtà, alla lunga, può danneggiare anche le grandi.
ECCO A VOI BUY WINE
Ogni anno, a febbraio, venivano invitati a Firenze circa 200 importatori da tutto il mondo per incontrare le cantine toscane durante un B2B con 20 appuntamenti per ogni cantina in due giorni di lavoro, poi il gruppo dei buyer veniva diviso in gruppi che andavano nei territori del vino per visitare le aziende. Descritta così può sembrare un azione di “incoming” come tante altre ma non lo era. Caso unico nel mondo gli importatori contribuivano alle spese con circa 200€ in modo da dimostrare il loro interesse. Venivano invitati nuovamente solo se, dopo il primo Buy wine avevano comprato almeno da una delle aziende incontrate, infine il “no show” cioè l’assenza da più incontri B2B, comportava l’esclusione del buyer dai successivi Buy Wine. Con il tempo questa tattica rigorosa ha creato una lista di importatori davvero interessati a comprare escludendo quelli in “viaggio premio”. Ma la cosa più spettacolare era l’incrocio fra domanda e offerta: al momento dell’adesione la cantina dichiarava i mercati in cui stava cercando contatti. La lista con la manifestazione di interesse delle aziende veniva sottoposta ai buyer che cliccavano quelle che volevano incontrare. A quel punto erano le cantine a accettare i contatti e alla fine gli incontri risultavano estremamente mirati. Nessuna altra regione aveva un borsino altrettanto ben fatto.
C’era poi un proseguio di Buy wine nei territori del vino che serviva a valorizzare soprattutto le denominazioni più piccole e meno conosciute. Noi della DOC Orcia abbiamo ricevuto, nel 2015, sessanta buyer, abbiamo organizzato ( in pompa magna a Palazzo Chigi di San Quirico) una degustazione per 17 cantine e la visita in 10 di esse. L’iniziativa è stata considerata utilissima da tutti i produttori e ha lasciato una traccia forte nei buyer facendo finalmente uscire dall’ombra la nostra giovane ma agguerrita denominazione. Se oggi l’Orcia comincia a interessare stampa e importatori lo dobbiamo principalmente a Buy wine.
Concludo con questa domanda: se è vero che BuyWine finisce perché mancano fondi: siamo proprio sicuri che chiuderlo sia un vero risparmio e non invece un futuro mancato guadagno perché produce una diminuzione di fatturati e dunque di gettito fiscale e di numero degli occupati oltre ai danni ambientali causati dall’abbandono dei terreni agricoli meno ricchi?
Donatella Cinelli Colombini