Le fratture interne al Partito Democratico si stanno allargando

SIENA. Quando l’impero di Spagna, nel pieno della sua potenza, si gettò alla conquista della ben più debole Inghilterra elisabettiana, si accorse amaramente di aver sottovalutato troppi segnali dell’umiliazione che avrebbe subito: la maggiore maneggevolezza e velocità delle piccole navi inglesi, il loro armamento più moderno, gli esperti pirati messi al comando di molte di esse, oltre a tempeste imprevedibili in piena estate, condussero al disastro quella che era stata nominata la “Invincibile Armata”.
Anche a Siena c’è una flotta che corre verso il disastro ostentando sicurezza e sottovalutando la sue debolezze: quella che ancora una volta ha messo insieme il condottiero Ceccuzzi, che dagli ultimi anni del secolo scorso ha governato, direttamente o attraverso i suoi fedelissimi, il principale partito cittadino e quindi le scelte dell’intero centrosinistra senese.
C’è da dire che, contrariamente al re spagnolo reduce dalla vittoria di Lepanto, Ceccuzzi viene da una serie di gravi insuccessi dei quali sta faticosamente cercando di far dimenticare la sua paternità, dalle cattive scelte urbanistiche ed economiche compiute nel territorio, alla infelice attribuzione dei ruoli dirigenti ed istituzionali a chi ha prodotto i fallimenti che sono ormai ben noti a tutti.
Ma, tra gli insuccessi che maggiormente dovrebbero preoccupare Ceccuzzi inducendolo a maggiore prudenza, vi è quello di aver sgretolato quella maggioranza che, seppur faticosamente, lo aveva portato nel 2011 al vertice del Comune di Siena: 17.800 voti da lui ottenuti (il 40% dell’elettorato senese, 1.100 voti in meno rispetto ai voti di lista della sua coalizione e 1.200 in meno rispetto ai voti di Cenni nel 2006); allora sufficienti comunque, grazie all’astensionismo, a superare di 1.600 voti la soglia per non subire l’onta del ballottaggio.
Quella maggioranza “delicata” Ceccuzzi l’ha rapidamente sfasciata con i suoi metodi autoritari sia scegliendo il passaggio di poteri da Mussari a Profumo, sia iniziando a criticare le scelte amministrative della precedente Giunta che aveva sempre applaudito, sia pretendendo una fiducia in bianco su un bilancio comunale ormai impresentabile. Quanto può pesare, elettoralmente, quella rottura con i cosiddetti “otto dissidenti” dell’area riformista e dello stesso PD? Solo come preferenze personali e “fingendo” che non rappresentassero nessun altro elettore, gli otto avevano ottenuto nel 2011 un totale di 2.869 voti, più che bastanti a portare il centrosinistra al di sotto della soglia del ballottaggio e ben superiori sia alle 101 preferenze allora registrate dal Sandro Senni trasferitosi tra le schiere di Ceccuzzi, sia ai voti tradizionalmente raccolti a Siena dall’Udc cui l’ex consigliere appartiene.
Da allora, cioè da quando Ceccuzzi decise di dimettersi e di lasciare la città nelle mani di un commissario pur di non cedere sul bilancio comunale, l’ex sindaco non ha recuperato nessuna di queste fratture ed anzi le ha allargate e radicalizzate.
L’area ex Pci/Ds ha formato una lista civica intorno a Giancarlo Meacci; altrettanto ha fatto l’area ex Margherita intorno ad Alessandro Piccini e quella ex riformista intorno a Francesca Mugnaini. Allo stesso tempo si è allargata l’adesione alla lista di Laura Vigni da parte di militanti e dirigenti ex Rifondazione e si sono moltiplicati i conflitti all’interno della parte residua del PD soprattutto in occasione delle ripetute tornate di primarie: Bersani/Renzi, “parlamentarie”, fino all’aperto scontro con Bruno Valentini e con le migliaia di sottoscrittori della sua presentazione alle primarie per la candidatura a sindaco.
Che Ceccuzzi non ami, in assoluto, le primarie, lo sappiamo dai tempi delle ultime elezioni provinciali quando minacciò, a vuoto, le sue dimissioni da Segretario del partito nel caso fosse sottoposto a primarie il suo “pupillo” Bezzini. Ma il comportamento sprezzante ed autoritario che anche in questa occasione ha tenuto, ed ha fatto tenere ai suoi uomini, sembra ben poco compatibile con le crescenti difficoltà di navigazione di quel che resta del suo partito e della sua coalizione, un’armata sempre più visibilmente “vincibile”.
Renato Lucci