VALDORCIA. C'era una volta la Val d'Orcia, una terra unica per i suoi calanchi, per il suo cambiare colore in ogni stagione. Una terra che era un paradiso terrestre per tutti i cacciatori. Un angolo di terra dove la selvaggina non finiva mai perchè la gente aveva rispetto: rispetto per la terra e per la fauna.
Poi, negli anni '80 con l'arrivo delle ruspe, quella terra venne devastata per l'80 per cento. Un processo reso possibile grazie ad una sciagurata “proposta”: un contributo ricevuto per ogni ettaro spianato. Ne è derivata la devastazione di un patrimonio che non si ricreerà più. E che ha cambiato anche il carattere della popolazione della zona. In passato, la gente della Valdorcia era ospitale e generosa. Con gli “incentivi a fondo perduto”, con il pagamento dei danni provocati da selvaggina (parecchi inesistenti) la gente della Valdorcia si è trasformata in “mendicante”, gente che non perde occasione per chiedere soldi sotto tutte le forme possibili.
Poi, per finire, è arrivata la riserva naturale di Lucciola Bella, l'unico pezzo di terra che non è stato possibile devastare per i suoi calanchi molto ripidi. Ma, con i passare del tempo quella terra verrà devastata proprio dal concetto errato di riserva che è stato scelto. Infatti, senza l'intervento dell'uomo, senza il taglio delle piante e quindi senza il rinnovo, le ginestre, il biancospino, il pero selvatico non diventeranno altro che piante secche con qualche foglia verde in cima. Tra queste piante “in crisi” si possono annoverare anche erbe che hanno reso famoso il pecorino di Pienza. Il barbabecco, per esempio, che senza il pascolo, rischia di sparire per sempre.
Per quanto riguarda la fauna non è rimasto quasi nulla al di fuori del “selvatico”. In particolare del cinghiale che pare essere diventato selvaggina "privata" di alcuni dipendenti pubblici, dei loro amici e degli amici degli amici. Questi signori, con metodi che potrebbero essere usati dai peggiori bracconieri – compresi fuoristrada e fari notturni a spese della comunità – uccidono le scrofe in ogni stagione, senza farsi troppa remora ad uccidere anche le bestie subito dopo il parto, infliggendo una morte di stenti ai piccoli o, peggio, facendoli mangiare dai cani. I piccoli che riescono a sopravvivere diventano animali senza istinto selvatico e, girando sempre, giorno e notte, recano il doppio dei danni alle colture agricole.
Come se non bastasse, sono state piazzate due trappole per la cattura di animali selvatici, con personale e mezzi di trasporto particolari (anche questi a carico della comunità). Dopo che questi poveri animali sono stati catturati vengono caricati e trasportati nei recinti dove arrivano in condizioni pietose. Da qui, il loro triste viaggio prosegue verso le aziende faunistiche venatorie, verso altri recinti dove, una sottospecie di cacciatori (quelli che non sono in grado di affrontare un animale su un terreno libero) si sente realizzata tirando ad un animale impaurito e incapace di fuggire.
Tutto questo accade condito dal silenzio di Verdi e ambientalisti che per me non sono altro che comunisti “non maturi”.
Lettera firmata