Una doverosa premessa. Per evitare che mi vengano attribuite etichette sbagliate, mi preme precisare: Durante la mia lunga esperienza politica ho avuto una sola tessera, quella della Democrazia Cristiana.Dopo il suo decesso, sono rimasto un semplice osservatore della vicenda politica.Sono sempre stato (e lo sono tuttora) un deciso sostenitore della politica di centro-sinistra (quella col trattino, come ama puntigliosamente sottolineare l’amico Francesco Cossiga), precisando che preferisco l’area dislocata alla sinistra del trattino.Esaurito il preambolo, esprimo un particolare apprezzamento per il documento che i “Giovani Democratici” hanno pubblicato il 3 luglio u.s. con il titolo “Il vento sta cambiando.” Condivido l’analisi, anche se, a mio parere, incompleta, della situazione politica senese e sono anch’io convinto “che la nostra realtà territoriale necessiti di un sostanziale rinnovamento della politica.Detto in soldoni, mi pare che da questa dichiarata esigenza, ne scaturisca un giudizio negativo sulla attuale gestione della politica territoriale. Condivido anche l’esigenza, non rinviabile, di provvedere ad una “selezione della classe dirigente per canoni meritocratici, vale a dire, più personale qualificato tra le dirigenze, meno funzionari di partito.” Anche in questo caso l’auspicio conferma che questi canoni sono stati, in prevalenza, disattesi. Centrato l’obbiettivo, ci si domanda quale strada percorrere per raggiungerlo, visto che la struttura portante del sistema politico locale è fondato sulla presenza di una classe dirigente che si è trasformata in ceto politico.Siamo cioè di fronte ad un processo di professionalizzazione della politica, ad una “trasformazione dell’attività di rappresentanza in una vera e proprio carriera lavorativa (Cesare Salvi.”Il costo della politica).”Tito Boeri, in un suo articolo su “Repubblica”, ci ricorda che Max Weber (“La politica e la scienza come professioni” 1919) scrive che “Ci sono due modi di fare il politico: si può vivere per la politica oppure si può vivere della politica.”A questo punto, tuttavia, bisogna chiederci quali sono le cause che hanno generato questi fenomeni di involuzione oligarchica della democrazia; ce n’è una fondamentale: l’assoluta mancanza di uno dei principali pilastri che garantiscono un corretto ed efficiente funzionamento di un sistema democratico: l’alternanza nel governo delle istituzioni. Quì il discorso di porterebbe lontano; lo riprenderemo in seguito.Per la selezione della classe dirigente, i “Giovani Democratici” propongono l’impiego delle primarie per tutte le cariche elettive; del resto, questo è già scritto nello statuto del PD. Giusto estenderlo il più possibile allo scopo di coinvolgere i cittadini nella scelte. Ma sorge la domanda: che tipo di primarie? A sentire quanto ha dichiarato il segretario provinciale del P.D.: “Per ogni carica elettiva ci saranno le primarie interne al PD….”.Che significa? Saranno chiamati ad esprimersi solo gli iscritti (i tesserati) al partito? Ma allora sappiamo bene quali sono i rischi: chi controlla le tessere potrebbe controllare agevolmente l’esito della consultazione e così le scelte rimangono circoscritte all’interno dell’area partitica. Meglio sarebbe estendere la partecipazione agli elettori.A parte questa annotazione, siamo sinceri, il nodo più spinoso, quello cioè che produce tutte le fibrillazioni inutilmente mascherate da proclami retorici, è un altro: chi decide la cariche “non elettive?”Per intendersi, chi decide per la galassia degli incarichi nella miriade di enti ed istituzioni che operano sul territorio, a partire da quelle più “allettanti” (MPS e Fondazione) a tutti gli altri, fino ai più sconosciuti piccoli enti inventati proprio per incrementare l’offerta? Perché è su questo problema che si consuma la lotta senza quartiere tra le due anime del PD? Se fosse soltanto verosimile il pronostico che Augusto Mattioli fa nella sua nota del 26 giugno u.s. (“Nomi e nomine…….trombati. O presunti tali”), nella quale immagina il carosello di avvicendamenti e trasferimenti previsti per la prossima stagione delle nomine, ci sarebbe di che preoccuparsi: il “vento” non sarebbe affatto cambiato.Per evitare che si continui con questi “riti” da prima repubblica (che conosco bene), visto che tutti ne auspicano, e giustamente, il superamento, perché non seguire un suggerimento che ci proviene da un autorevole uomo di sinistra, il presidente della provincia di Milano, Filippo Penati? A proposito delle nomine degli amministratori delle società di proprietà comunale, egli afferma: ”Le nomine debbono essere sottratte agli interessi immediati della politica e delle contrapposizioni partitiche…..Penso alla istituzione, che è urgente, di organismi bipartisan, trasparentemente operanti che procedano all’esame dei curricula dei nominandi sulla base delle competenze e che risponda a criteri simili a quelli che discendono dalla governance anglosassone.”Per la verità, non so se l’idea sia stata realizzata, ma, almeno, si potrebbe evitare che tutto venga deciso da due sole persone, che si ritrovano furtivamente, magari in qualche stanzetta di Via Montanini.
Martino Bardotti
Martino Bardotti
Ex parlamentare DC