Il Pd ha cambiato verso... ma verso destra
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di Mauro Aurigi
SIENA. Esponenti del vecchio Pci si stanno sgolando, a Roma come a Siena, per convincerci che il “miracolo” elettorale europeo della sedicente sinistra è frutto, sì, del carisma del Renzi, ma anche e soprattutto dell’esistenza di una partito organizzato (ovviamente il Pd inteso come erede morale del vecchio Pci) che l’ha appoggiato senza riserve. Un bell’arrampicarsi sugli specchi. Perché quello renziano non è stato un miracolo se non per il fatto che ha resuscitato la vecchia Dc restituendole in toto il suo antico potere (sono soddisfazioni). Anzi, a rigor di logica, non è neanche un miracolo suo, ma del blocco sociale moderato e anche fascistoide che la Dc rappresentava e che Mani pulite aveva disperso in tre tronconi: uno nel Pci, uno in Fi e il terzo, rimasto esangue, al centro (Casini). Ora, grazie all’improvvisa e imprevista esplosione del M5S ‒ sconfitta di Berlusconi e di Bersani (Casini si è sconfitto da solo) ‒ i tre tronconi erano già pronti a ricomporsi, aspettavano solo l’uomo giusto. L’hanno trovato finalmente in Renzi, consentendogli così di vendicarsi anche della pesante punizione che lui aveva subito neanche sei mesi prima alle primarie con Bersani.
Ma ho poca fiducia che Renzi possa durare a lungo. Se si manterrà onesto, come io credo che sia (onesto materialmente intendo, visto che moralmente nessun politico lo è), tra qualche anno i suoi “colonnelli”, non tollerando di sentirsi le mani legate da troppo rigore, gli faranno fare la fine dell’onestissimo De Gasperi. Dopo di ché dovremo aspettare qualche decennio affinché la magistratura li rimetta di nuovo tutti in galera o in condizioni di non nuocere più, e si ricominci daccapo.
VERSO UN REGIME AUTORITARIO
Il Pd dunque ha “cambiato verso”, ma verso destra, occupando tutto lo spazio al centro e spingendo Fi verso la Lega Nord (anche verso la Le Pen?). D’altra parte la corsa verso destra il Pd l’aveva cominciata più di un anno fa (a Siena da molto prima) accordandosi con Berlusconi e Alfano per il governo e le riforme istituzionali (ma che riforma è la riconferma di un Parlamento composto come prima da “nominati” dai partiti?). E Renzi ha portato quell’opera a compimento, aggiungendoci anche la recente dichiarazione che “di repubblica presidenziale (ovviamente con Renzi Presidente) “se ne può parlare”. Nonostante i ripensamenti di questi giorni, si tratta dell’approdo alla destra reazionaria visto che a favore di “più potere all’esecutivo” ‒ ossia di più potere al Principe e meno al Popolo ‒ il nostro Matteo incassa l’approvazione non solo di Berlusconi, ma anche della destra più nera del Pd, Napolitano e D’Alema, concordi a tale proposito. Ciliegina su questa torta amara: forte del suo successo, nel corso della prima e recentissima visita a Bruxelles, Renzi ha dichiarato che anche alla UE si debba aumentare il potere dell’esecutivo, come se non ne avesse già troppo.
E se ripeterà quel risultato anche alle future elezioni politiche, che potrebbero perciò essere più imminenti di quanto si pensi, avrebbe una Camera dei deputati composta al 55% di suoi nominati. Insomma, abolito il senato repubblicano, trasformerà la Camera nel “Senato del Re”, come ogni monarca o autocrate che si rispetti.
Né poteva essere diversamente. Ce lo dovevamo aspettare, perché il nostro è un paese da secoli molto moderato per non dire a cultura tendenzialmente fascista. Il fascismo ‒ inteso come necessità assoluta di un leader (che è la traduzione letterale di führer e duce) che governi al posto del popolo ‒ in Italia non è nato con Mussolini né è morto con lui. Per cui, caduto il fascismo, durante la guerra fredda i fascisti votavano e contavano sulla DC, potente diga contro il partito comunista più grande dell’Occidente (poi voteranno il reazionario Berlusconi). Ma venature diffuse di fascismo c’erano largamente ‒ oltre ovviamente che nel Psi del “decisionista” Craxi ‒ nel vecchio Pci: molto potere in mano a pochi o a uno solo. Si pensi al potere che hanno avuto e che, in questa fase di transizione globale al renzismo, ancora hanno a Siena alieni come L. Berlinguer, P. Piccini o G. Mussari.
IL FASCISMO NEL DNA DELLA POLITICA ITALIANA
Quel fondo fascista nella cultura politica italiana è fatto endemico e antico. Ha radici profonde, almeno nelle terribili mazzate che la Penisola subì nel Cinquecento: fine degli ultimi comuni popolari, generalizzazione del sistema signorile, dominazione spagnola e, da ultimo ma non ultima, la Controriforma cattolica col corollario dell’Inquisizione e dell’Indice.
Se Mussolini nel 1938-39, quando era al massimo del potere e del prestigio personale anche internazionale, avesse indetto libere elezioni avrebbe superato il 90% dei consensi. L’Italia era davvero e convintamente fascista. Cosa confermata da mia madre, classe 1910, che non perdeva occasione per raccontarmi come nei sabati del Ventennio i fascisti bastonassero i suoi 5 fratelli (la regola era 10 contro uno). Quando una volta le chiesi perché nessun vicino o amico o parente o semplice passante intervenisse a soccorrerli mi rispose, irritata per tanta stupidità: “Ma perché erano tutti fascisti!”. E siccome insistetti per sapere quanti potessero essere gli antifascisti su 100 persone del vicinato, precisò, guardandomi come se fossi il figliolo un po’ ritardato: “Due o tre”. Ossia il 2 o 3%.
Fatto sta che pochi anni dopo, caduto il fascismo, alle prime elezioni politiche libere quegli stessi fascistissimi Italiani votarono al 90% per i partiti antifascisti (Dc, Pci, Psi, Psdi, Pri e Pli) mentre solo il 10% votò per fascisti e monarchici. Potrei dire che il fascismo ce l’abbiamo nel DNA: puoi cercare di soffocarlo, ma tornerà sempre a galla nei partiti dominanti, vuoi che si tratti della Dc, di Fi o del Pd (quello renziano). E siccome positive evoluzioni della situazione economica, sociale e culturale sono proporzionali esclusivamente ai livelli di democrazia adottati (regola senza eccezioni sia nella storia che nell’attualità), c’è poco da essere ottimisti. E a Siena meno che altrove.
P.S.: Mentre buttavo giù queste note è arrivata la notizia esplosiva che anche il M5S ha “cambiato verso: almeno sulla questione della legge elettorale è disposto a confrontarsi col Pd. Vedremo quanto la novità sarà in grado di scombinare il quadro politico sopra disegnato o se si tratterà solo di un ballon d’essai.