"Il sistema Siena cerca ancora di cambiare perché nulla cambi"
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SIENA. L’implosione del sistema Siena è stata certamente accelerata dalla crisi nazionale ed internazionale, ma ha origini proprie che vengono da lontano e più precisamente da quella politica tipicamente conservatrice che ha sempre contraddistinto il nostro territorio privilegiando la rendita sullo sviluppo. Tale politica ha inibito sul nascere ogni volontà imprenditoriale e di rinnovamento, perché era molto più vantaggioso mettersi d’accordo con un sistema generoso e prodigo con gli amici piuttosto che fare quello che fanno tutti gli imprenditori, ovvero rischiare in proprio per costruire nuove realtà economiche che garantiscano benessere e sviluppo al territorio.
Ci voleva un non senese per intraprendere tramite la banca e i suoi strumenti finanziari un tentativo che andasse a cercare, oltre la rendita di posizione, nuovi territori ed un nuovo sviluppo. Parliamo ovviamente della Banca MPS e della operazione Antonveneta, che definire sfortunata è sicuramente un eufemismo perché male gestita e soprattutto realizzata in un contesto nazionale ed internazionale in grande trasformazione che un’azienda delle dimensioni e dell’importanza strategica come la nostra Banca non poteva non cogliere.
Oggi la crisi drammatica della Banca, ovvero dell’azienda più importante della città e della regione, ci pone davanti a scelte che non possono risolversi nella individuazione di un capro espiatorio cui addossare le colpe, per liberare altri che di quelle scelte hanno responsabilità di pari livello se non superiori.
La tanto sbandierata discontinuità non può consistere nell’affidare alla pubblica esecrazione prima “il sindaco Cenni”, poi l’ex Direttore Generale della banca MPS Antonio Vigni ed ora Gabriello Mancini, presidente della Fondazione MPS perché non ha saputo opporsi a scelte, sicuramente sciagurate, decise da altri.
Tutti e tre hanno responsabilità gravi, ma va ricordato come a suo tempo gli stessi siano stati scelti proprio per quelle caratteristiche di mitezza e quiescenza che avrebbero impedito loro di avere una dimensione autonoma e di fare ciò che oggi gli si rimprovera di non avere fatto.
Nonostante i proclami della discontinuità non se ne vede traccia, perché si cambiano gli uomini ma nulla cambia nella sostanza e nei metodi che hanno portato al collasso del sistema Siena.
Per quanto riguarda la Banca, nonostante le “scosse al mercato”, annunciate dal presidente Mussari, il cui primo risultato è il titolo MPS a 0,197 euro e che ci ricordano le scosse all’economia dall’esito non particolarmente significativo annunciate non molti mesi fa da Silvio Berlusconi, le uniche azioni di rilievo poste in essere dall’attuale Governance sono state il dimissionamento di Antonio Vigni e l’annuncio della sua sostituzione con Fabrizio Viola, tecnico di conclamata esperienza e di molte relazioni.
Purtroppo siamo alle solite il Sistema Siena, per quanto fallimentare, tenta ancora di cambiare, dare fumo negli occhi, per non cambiare niente.
Ci vuole un Amministratore Delegato, una persona cioè che in virtù delle deleghe abbia il potere di incidere sulle politiche della banca ed anche di costruire politiche e relazioni nazionali che siano in grado di competere con quelle del presidente.
Viola è un tecnico di esperienza, indicato dalla Presidenza di MPS probabilmente su consiglio della Banca d’Italia, che non può non essere preoccupata dello stato in cui si trova il terzo gruppo bancario italiano.
Viola probabilmente ha competenze e caratteristiche per guidare la Banca in un momento così difficile, ma come direttore generale non ha né poteri né strumenti e pertanto dovrà, magari pagato come d’uso profumatissimamente, limitarsi ad eseguire i “desiderata” della Presidenza, nonché del Sistema Siena che come sappiamo hanno logiche e interessi diversi da quelli puramente aziendali.
Ed è comunque strano che questi presunti cambiamenti avvengano a tre mesi dal rinnovo del CDA della Banca e in vista di quella ricapitalizzazione della Banca richiesta dell’EBA, che probabilmente porterà nuovi soci all’interno della Banca.
Certo è che la Fondazione vedrà scendere la sua quota molto al di sotto dell’attuale 50% e pur conservando la maggioranza relativa dovrà contrattare con i soci di maggioranza le future scelte.
Non è neppure chiaro cosa intenda fare il presidente Mussari, anche se riteniamo che intenda restare almeno sino a quando non avrà trovato una nuova sistemazione.
Perché sarebbe strano che possa continuare a fare il Presidente dell’ABI che, nonostante la modifica dello Statuto voluta che consente di fare il Presidente anche a chi con le banche non ha più niente a che vedere, resta pur sempre l’associazione di categoria delle banche italiane.
Insomma tra dimissioni, nomine, discontinuità annunciate e senza una strategia a lungo termine, siamo ancora una volta a Don Fabrizio Principe di Casa Salina ed al suo celebre “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Ci voleva un non senese per intraprendere tramite la banca e i suoi strumenti finanziari un tentativo che andasse a cercare, oltre la rendita di posizione, nuovi territori ed un nuovo sviluppo. Parliamo ovviamente della Banca MPS e della operazione Antonveneta, che definire sfortunata è sicuramente un eufemismo perché male gestita e soprattutto realizzata in un contesto nazionale ed internazionale in grande trasformazione che un’azienda delle dimensioni e dell’importanza strategica come la nostra Banca non poteva non cogliere.
Oggi la crisi drammatica della Banca, ovvero dell’azienda più importante della città e della regione, ci pone davanti a scelte che non possono risolversi nella individuazione di un capro espiatorio cui addossare le colpe, per liberare altri che di quelle scelte hanno responsabilità di pari livello se non superiori.
La tanto sbandierata discontinuità non può consistere nell’affidare alla pubblica esecrazione prima “il sindaco Cenni”, poi l’ex Direttore Generale della banca MPS Antonio Vigni ed ora Gabriello Mancini, presidente della Fondazione MPS perché non ha saputo opporsi a scelte, sicuramente sciagurate, decise da altri.
Tutti e tre hanno responsabilità gravi, ma va ricordato come a suo tempo gli stessi siano stati scelti proprio per quelle caratteristiche di mitezza e quiescenza che avrebbero impedito loro di avere una dimensione autonoma e di fare ciò che oggi gli si rimprovera di non avere fatto.
Nonostante i proclami della discontinuità non se ne vede traccia, perché si cambiano gli uomini ma nulla cambia nella sostanza e nei metodi che hanno portato al collasso del sistema Siena.
Per quanto riguarda la Banca, nonostante le “scosse al mercato”, annunciate dal presidente Mussari, il cui primo risultato è il titolo MPS a 0,197 euro e che ci ricordano le scosse all’economia dall’esito non particolarmente significativo annunciate non molti mesi fa da Silvio Berlusconi, le uniche azioni di rilievo poste in essere dall’attuale Governance sono state il dimissionamento di Antonio Vigni e l’annuncio della sua sostituzione con Fabrizio Viola, tecnico di conclamata esperienza e di molte relazioni.
Purtroppo siamo alle solite il Sistema Siena, per quanto fallimentare, tenta ancora di cambiare, dare fumo negli occhi, per non cambiare niente.
Ci vuole un Amministratore Delegato, una persona cioè che in virtù delle deleghe abbia il potere di incidere sulle politiche della banca ed anche di costruire politiche e relazioni nazionali che siano in grado di competere con quelle del presidente.
Viola è un tecnico di esperienza, indicato dalla Presidenza di MPS probabilmente su consiglio della Banca d’Italia, che non può non essere preoccupata dello stato in cui si trova il terzo gruppo bancario italiano.
Viola probabilmente ha competenze e caratteristiche per guidare la Banca in un momento così difficile, ma come direttore generale non ha né poteri né strumenti e pertanto dovrà, magari pagato come d’uso profumatissimamente, limitarsi ad eseguire i “desiderata” della Presidenza, nonché del Sistema Siena che come sappiamo hanno logiche e interessi diversi da quelli puramente aziendali.
Ed è comunque strano che questi presunti cambiamenti avvengano a tre mesi dal rinnovo del CDA della Banca e in vista di quella ricapitalizzazione della Banca richiesta dell’EBA, che probabilmente porterà nuovi soci all’interno della Banca.
Certo è che la Fondazione vedrà scendere la sua quota molto al di sotto dell’attuale 50% e pur conservando la maggioranza relativa dovrà contrattare con i soci di maggioranza le future scelte.
Non è neppure chiaro cosa intenda fare il presidente Mussari, anche se riteniamo che intenda restare almeno sino a quando non avrà trovato una nuova sistemazione.
Perché sarebbe strano che possa continuare a fare il Presidente dell’ABI che, nonostante la modifica dello Statuto voluta che consente di fare il Presidente anche a chi con le banche non ha più niente a che vedere, resta pur sempre l’associazione di categoria delle banche italiane.
Insomma tra dimissioni, nomine, discontinuità annunciate e senza una strategia a lungo termine, siamo ancora una volta a Don Fabrizio Principe di Casa Salina ed al suo celebre “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
FUTURO E LIBERTA’ per L’ITALIA – Coordinamento Provinciale Siena