Un lettore di parere opposto "all'overdose di supermercati" spiega la propria posizione
SIENA. L’approccio proposto sulla questione dei supermercati (leggi) è una parodia della realtà e della comune esperienza quotidiana e ne fa – naturalmente – una caricatura; questo è sempre un pessimo presupposto per affrontare seriamente i problemi. Infatti tutta l’impalcatura ideologica della lettera ha il grave difetto di risultare inservibile nell’affrontare, concretamente, un tema che innegabilmente esiste.
La mia opinione è che la soluzione non sta in un inverosimile arrocco dirigista-populista, ma – al contrario – nell’accelerazione e raffinazione dei processi di apertura al mercato, stimolo alla concorrenza e innovazione; sarei tuttavia interessato ad ascoltare tesi differenti, a condizione che siano almeno un po’ di questa terra; richiamarsi al mondo fiabesco dei buoni di qua e dei malvagi di là è dannoso oltre che sbagliato: è come inseguire i fantasmi, ti stanchi a correre e non concludi niente.
Nel merito, il calo del numero di attività commerciali nei centri storici è un fenomeno che va avanti, in Italia, almeno dagli anni ‘80. Un’interessante analisi sul tema è stata pubblicata a febbraio dal Centro Studi Confcommercio, e ad essa rimando per chi volesse approfondire.
In sintesi, la ricerca indica che dal 2008 il numero dei negozi (commercio in sede fissa) nei centri storici delle 120 più importanti città italiane è diminuito dell’11,9 %, pari a circa 62 mila unità. In compenso, però, è cresciuto del 17 %, il numero delle attività di bar, ristoranti, alberghi e b&b. Se aggiungiamo la crescita del commercio ambulante (+ 8,7 %) si scopre che, in realtà, il commercio globalmente inteso nei centri storici ha retto assai bene, perdendo solo poco più dell’ 1%, nella più dura crisi economica italiana prima d’ora. Restando sul tema del commercio in sede fissa, si scoprono altre due cose molto interessanti: 1) Il calo dei negozi alimentari è stato appena dello 0,03 %, contro, per esempio, il 22,3 % dei negozi di mobili e ferramenta e del 13,8 % dei negozi di vestiario e calzature; 2) i fattori critici che portano alla cessazione di attività commerciali sono indicati, nell’ordine, in canoni di locazione troppo elevati, eccessivo carico fiscale, scarsi incentivi delle amministrazioni.
E’ vero che l’indagine riguarda l’insieme dei centri storici italiani e non in modo esclusivo Siena, ma è altrettanto vero che quello di Siena è considerato uno dei più reattivi e positivi tra i centri storici esaminati.
Non pare quindi che ci sia una dimostrata correlazione tra apertura di supermercati e cessazione di negozi. Oltre al tema dei canoni e del fisco, sicuramente incide l’età media della popolazione residente in centro storico, che ovunque significa diminuzione del numero di negozi tradizionali, lo sviluppo a due cifre dell’e-commerce, nonché la progressiva riduzione della capacità di spesa del consumatore, sia quello residente che quello occasionale. Infatti, non vi è una riduzione dei consumi in termini assoluti, ma uno spostamento dal negozio tradizionale alle superfici a libero servizio e, in parte, al commercio digitale che offrono entrambi prezzi inferiori.
Va fatto però un passo in più. La posizione un po’ da Terza Internazionale che esprime il vostro lettore sul tema commercio, ma che certamente è assai trasversale ben al di là del credo politico, è spia, se non mi sbaglio, di una – diciamo – modesta capacità di cogliere il senso della crisi di Siena e, per estensione, dell’Italia. Decenni e decenni, se non secoli, di rendite di posizione appartengono al passato. Dureranno un altro po’, ma non torneranno. Cercare affannosamente, in una disperata coazione a ripetere, ambiti, occasioni, nicchie da cui ritrarre rendite significa solo, per la comunità, sprecare tempo ed energie sottraendole alla possibile creazione di valore. Tale valore proverrà esattamente dal mercato, dalla concorrenza, dalla competizione, e Siena dovrà, se vorrà, mettersi nelle condizioni di risultare attrattiva per capitali trasparenti ed imprese capaci; ne verrebbe ripagata da occupazione, crescita, sviluppo.
Concludendo, prevedo che gli appelli di Tinelli alla mobilitazione di popolo resteranno, purtroppo per lui, inascoltati. Siamo tutti troppo impegnati a servirci di Amazon, guardare Netflix, ordinare Just Eat. Provi a lanciare una campagna contro quelli, magari funziona.
Lorenzo Zunino