SIENA. Confesso: ogni volta che leggo la cronaca di un ammazzamento da parte di uno che guidava ubriaco, o fatto di coca ( o entrambe le cose, come mi pare accada troppo spesso), oppure leggo che “la legge sull’omicidio stradale è in dirittura d’arrivo”, penso che questo scandalo nostrano sia dovuto a qualcuno che protegge un parente, un amico, una persona che ha commesso questo odioso reato e che si vuole far passare indenne – magari grazie a una provvidenziale prescrizione – .
Magari mi sbaglio, viziata come sono dalla consapevolezza di vivere in un paese in cui – insieme ad altro, incluse le cose belle che l’Italia ancora ci riserva – accadono anche infamie come nepotismi assurdi, favoritismi che ti fanno pensare alla mafia, camarille borderline, e così via …
Per fortuna questo nostro paese non è solo una discarica dei buoni sentimenti, offre anche amministratori e politici con la schiena dritta, giudici ineccepibili, gente buona e di solidi principi, ma quando si prende in mano l’omicidio stradale (o automobilistico che dir si voglia), le cose, prima diventano melodrammatiche , poi pffft si sgonfiano e tutto rientra nelle cose che “faremo al più presto”: al più presto da anni.
Nel frattempo la gente muore, i superstiti piangono il congiunto e poi si rimboccano le maniche, l’omicida – di solito ben piazzato ai domiciliari – vive la sua vita tranquillo; tutto, insomma, procede.
Mentre il morto giace e i figli (che la madre accudiva, che il padre o la madre mantenevano con il proprio lavoro), o i genitori vecchi (a cui una vittima provvedeva), o i genitori del ragazzo (di cui si intravedeva un futuro promettente), o la famiglia (dell’immigrato che sgobbava per dare un futuro migliore ai suoi cari), … tutti questi parenti, non possono fare altro che piangere, rimboccarsi le maniche, ascoltare qualche politico becero che usa strumentalmente il delitto, se e quando – anziché essere commesso da un qualche sedicente intellettuale ubriacone nostrano, o da qualche figlio di professionista eccellente che si è impasticcato – ad ammazzare è stato un rom o un nordafricano o comunque un immigrato. Poi cala il silenzio, rotto ogni qualche mese dalla solita tiritera “finalmente l’omicidio stradale è reato severamente punibile”, per placare il partito degli assetati di vendetta.
Dopo il millesimo omicidio (per favore non chiamatelo ‘incidente’) avvenuto l’altro ieri a Roma, mi chiedo e chiedo pubblicamente: ma non è possibile adottare una visione un po’ più pragmatica? La vittima di quest’ultimo ammazzamento era una collaboratrice domestica, quindi contribuiva economicamente al mantenimento della propria famiglia (due figlie!) e inoltre l’accudiva affettuosamente – come ho letto sui quotidiani –. Immaginate il padre di quella famiglia: nessun senso di vendetta, nessun politico roboante, nessun piagnisteo gli ridarà la madre delle sue figlie; come accade anche a tutti quelli che hanno perso un congiunto a causa della guida omicida di qualcun altro.
Invece di gridare vendetta o rassicurare il popolo bue che giustizia sarà fatta (un giorno lontano, dopo un po’ di prescrizioni forse a vantaggio di qualche amico degli amici), sarebbe così semplice stabilire che chi ha bevuto e guidato, o si è drogato e ha guidato, e ha ucciso, è condannato a risarcire il danno causato a parenti, famiglie, luoghi di lavoro. Oltre a passare qualche anno in condizioni ‘ristrette’; ma ripeto, soprattutto risarcire lavorando (oppure con i propri beni), coloro a cui non potrà restituire mai l’amore, il calore, la vita di chi è stato ammazzato dal vizio arrogante, e troppo spesso recidivo della guida omicida