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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Banche in declino: un problema nazionale

La prevalenza del PPCS: Potere, Prestigio, Carriere, Soldi

SIENA. Il titolo esprime tutto. Il sistema Bancario manifesta da tempo segni di periglioso cedimento e nessuno sa come fermarne la deriva, anzi: più di qualcuno sembra non accorgersene o non voler aprire gli occhi, pensando di poter orgogliosamente ed arrogantemente tutelare solamente interessi (i propri e quelli del gruppo di sodali da lui dipendenti) miopi ed effimeri. È gente che non sa neanche cosa siano valori come “solidarietà sociale”, “equilibri di sistema” o “famiglia”, e non considerano “uomo/donna” come Entità al centro dell’agire collettivo.

Lo stesso Umanesimo qualche secolo fa ragionava e rifletteva meglio proprio su quest’ultimo concetto che considera l’“essere umano” meritevole di trovarsi al limite al centro dell’intero universo. Ebbene, certi personaggi ai vertici manifestano totale ignoranza se non addirittura indifferenza nei riguardi dei loro consimili, contando, per questi spettabili signori, solo 4 evidenze che mi permetto di unire in unico acronimo da me inventato proprio adesso, PPCS: Potere, Prestigio, Carriere e Soldi. Sembra che altro non conti nella vita per questo ceppo di umanità che comanda le Banche oggigiorno.

Tale atteggiamento è il colpevole risultato di un processo di antica data, che trae origine – per sommi capi ovviamente – dalla prima metà degli anni novanta e anche prima, dai decenni scorsi. Una certa graduale globalizzazione per certi versi è un processo storico fisiologico, ma dall’inizio del ‘900 il mondo ha conosciuto la sua degenerazione. La crisi del ’29 aveva reso evidente a tutti quanto spregiudicate attività speculative potessero mettere in ginocchio, in un lampo, un intero mondo come il nostro, anche in condizioni allora prive delle attuali possibilità e capacità tecnologiche, che non permettevano per l’appunto la trasmigrazione in tempo reale di milioni e miliardi di unità monetarie da un capo all’altro della Terra.

E tutto questo promanò dalla nazione più potente e speculativa del mondo: gli USA. Si dice che già negli anni ’40 si progettava di riunire l’Europa in un unico spazio economico e – in prospettiva – politico creando anche una moneta unica. Il tutto con l’intento di togliere Sovranità agli Stati (in prima battuta quella economica) per poi probabilmente creare un’élite intellettuale di vertice e di esperti, che doveva governare in chiave ristretta le sorti dell’Europa per arrivare chissà dove.

 

La fase attuale dimostrerebbe grosso modo questo, ma non volendo ampliare l’analisi a dismisura, si può tranquillamente affermare che, dopo il boom economico del secondo dopoguerra con connessa euforia sociale, vi fu effettivamente fino agli anni ’80 una fase di momentaneo consolidamento sociale, con residue politiche di tutela dei diritti dei lavoratori (è questo il campo cui volutamente mi limito). Dagli anni ’90 invece cominciarono radicali trasformazioni: normative nazionali ed internazionali facilitarono la libera circolazione di beni/servizi e persone in tutto il mondo, inclusi i capitali, con effetti variamente dibattuti e in teoria positivi, ma che nel concreto favorirono logiche perverse create da certe genie umane, con la prevalenza dell’acronimo PPCS di cui sopra come valore simbolo e conseguente disfatta in vario modo di interessi contrapposti e più deboli.

Per l’Italia, è noto il fenomeno della “delocalizzazione” di intere imprese e attività all’estero, verso aree ove i costi produttivi e del lavoro ammontavano a valori nettamente inferiori (di svariate volte) a quelli italiani: prima verso l’est Europa e poi verso il sudest asiatico a grandi linee. A fronte di tali eventi – a più riprese ed in contesti diversi “ventilati” fin dall’inizio dai vari datori di lavoro – il potere contrattuale della classe lavoratrice si ridusse da subito, spiazzando tutti compresi i Sindacati che avrebbero dovuto difendere certi tipologie di diritti, che non sto qui ad enumerare.

Contestualmente, anche le Banche iniziarono a muoversi per usufruire consapevolmente del clima “globalizzante” favorevole. Dapprima vennero aggregate – o meglio, cancellate – a Banche di dimensione nazionale altre realtà locali, che per i relativi territori di influenza e provenienza costituivano riferimenti economici, sociali e culturali. Negli anni duemila poi – escludendo rari esempi – vi furono massicce espansioni internazionali, conseguenti a manie di grandezza discutibili e discusse fin da quegli anni. Vi era quindi già il timore di creare dei giganti di argilla che, alla prima fronda, potessero crollare. Parole chiave e meravigliose erano: economie di scala, Governance, Lines ecc. per giustificare ed avallare perverse logiche di profitto finanziario, di aggressione a mercati esteri poco conosciuti. La delocalizzazione poi di lavorazioni che non costituivano il “core business” del settore e quindi non creavano guadagno immediato avvenne quasi senza soluzione di continuità, la Romania per Unicredit a mo’ di puro esempio non esaustivo.

Con la crisi del 2008 – proveniente dallo stesso posto di cui a quella del ’29 – i giganti cominciarono a deragliare, non risultando più sufficienti le “esportazioni” di servizi di supporto fino a quel momento attuate. Attraverso svariati percorsi organizzativi anche contrastanti da un anno all’altro si è arrivati verso il consueto sbocco: le scelte negligenti di certe figure apicali – che devono per consuetudine cadere in piedi – sono ricadute fino a oggi sui lavoratori con scelte umilianti di contratti di solidarietà, di ampliamento di orari d’Agenzia pur di non licenziare nessuno. Ma – ed è qui la sorpresa – improvvidamente in Monte dei Paschi e Unicredit sono state fatte scelte ancor più radicali: si è addivenuti all’esternalizzazione di migliaia di persone verso Società neocostituite a maggioranza non bancaria. E’ noto che per Unicredit i Partner Esterni sono HP (224 lavoratori, con parziale delocalizzazione di attività in Polonia), Accenture (oltre cento unità, ove parte dell’attività si è indirizzata verso le Isole Mauritius) ed IBM (309 persone da settembre); per MPS è in forte dubbio la sorte di 1.100 esternalizzandi, per i quali si delinea a breve una parnership con la “coppia” Bassilichi-Accenture.

Nei diversi accordi relativi di esternalizzazione è stato mantenuto il CCNL del settore di provenienza, ma indubbiamente le garanzie e le prospettive sociali non sono più quelle di qualche tempo fa, anche pochi mesi. Tra gli altri rischi, la perdita appunto del CCNL del comparto Bancario c’è ed è ben presente a tutti, stante la confluenza tecnica in Gruppi internazionali di altra radice. Ma è di questi giorni la tegola che invece investe lavoratori esternalizzati e dipendenti di Gruppi Bancari: la storica e inaudita disdetta anticipata proprio del CCNL rispetto alla naturale scadenza di metà 2014.Evidentemente Marchionne con la disdetta del CCNL in Fiat ha fatto scuola e così l’indebolimento graduale della classe lavoratrice delineato più sopra per sommi capi è arrivata per i bancari al capolinea. Sembra quasi che vi sia l’intento di far diventare le Banche un qualcosa di diverso. Forse gli Istituti di Credito come li conoscevamo finora sono destinati a sparire. Consulenti Internazionali di vario genere agiscono all’interno ed all’esterno dei Gruppi Bancari odierni, mirando ad indirizzarne gli sviluppi secondo logiche ad orientamento fortemente e puramente commerciale. Vengono “consigliate” addirittura determinate tipologie di Agenzia, quasi si volesse trasformare le vecchie Banche in “negozi” di prodotti finanziari (e magari di giocattoli in futuro). Tenendo presente poi che l’avvento di Home Banking ed altre modalità di transazione online lima ulteriormente i “numeri” del lavoro di Agenzia – frequenti sono oramai le chiusure di sportelli in tutta Italia – la situazione generale del settore si fa seria. Insomma, si vorrebbero introdurre nuove tipologie contrattuali per un lavoro bancario che non sarà più tale. Correlativamente e per finire, se l’ABI è arrivata ad una decisione di così inaudita gravità vuol dire anche che – al di là dei proclami ottimistici di facciata – il comparto cui appartenevo fino a poco tempo fa – sono un esternalizzato da Unicredit – è alla frutta, e certi vertici non sanno più che pesci pigliare né come restare a galla. In altri termini: cercano in extremis di mantenere i propri privilegi – di pochi – declassando i molti subordinati, vale a dire i più deboli.

Claudio Severini

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