Proviamo a buttarla in politica
di Mauro Aurigi
SIENA. L’amica Patrizia Turrini in un suo pubblico intervento ha egregiamente ricordato la motivazione con cui l’UNESCO ha riconoscimento il centro storico di Siena quale patrimonio mondiale dell’umanità.
Non sono uno storico, ma secondo me quella motivazione, pur giustamente prodiga di apprezzamenti per gli aspetti urbanistici, architettonici e artistici della città, manca di un dato essenziale: com’è che tanta eccellenza ha potuto svilupparsi in un sito così modesto e così decentrato sia sul piano fisico che su quello culturale? E bastava a questo punto fermare la propria attenzione sul fatto molto evidente che la popolazione attuale, quantitativamente uguale a quella dei periodi più brillanti della sua storia, almeno per l’80% ancora oggi, direttamente e/o indirettamente, viva (e bene!) grazie a quello che sul piano culturale, sociale, economico, ecc., fu realizzato contemporaneamente all’eccellenza urbanistica, architettonica e artistica cittadine, ossia tra l’XI e il XVI sedicesimo secolo. Caso forse unico al mondo.
- L’Università: è tra le più antiche al pianeta (quasi millenaria) e aveva raggiunto, prima dell’attuale crisi, 25mila studenti (su 50mila abitanti!),
- La Banca: è la più antica del mondo e aveva raggiunto, prima della crisi, i 33mila dipendenti.
- L’Ospedale: è il più antico del mondo (oltre 1000 anni) e forse il più grande della Toscana, nella città più piccola della Regione.
- Il turismo.
- Per tacere del resto (Contrade, Palio, accademie ecc.).
E se consideriamo, inoltre, che Siena e il suo territorio sono collocati nell’area più spopolata e meno ricca di risorse dell’intera Regione, e che è da sempre la città più meridionale del Settentrione (a stretto contatto quindi con il Meridione e per giunta confinante da sempre con il retrogrado Stato della Chiesa), si può arrivare alla conclusione che Siena è un meraviglioso fenomeno unico al mondo.
Dovremmo poi indagare perché, nonostante tutto, un simile miracoloso fenomeno sia stato possibile. Verrebbe alla luce che ciò dipese da due casi concomitanti:
- lo straordinario amore che i Senesi hanno avuto (ed hanno!) verso la città e le sue istituzioni. Tanto amore che quasi li portò alla totale estinzione nei 7 anni di guerra (1552/1559) contro gli Spagnoli e i Fiorentini in difesa della propria libertà.
- Il complesso e poco citato ordinamento giuridico dell’epoca (che faremmo bene ad approfondire).
Non sono uno storico, ripeto, ma di quest’ultimo aspetto dico solo una cosa (e taccio di altri ugualmente importanti): il Parlamento senese (Consiglio generale) era composto di circa 300 persone in carica un solo anno, se non addirittura 6 mesi, non immediatamente rieleggibili, e previa cacciata di ogni parente stretto da cariche pubbliche eventualmente ricoperte. Ma si sa che poteva arrivare fino a 800 consiglieri a seconda della gravità delle questioni in discussione, come per esempio la guerra (ma da qualche parte ho letto, non ricordo dove, che in tal caso i consiglieri potevano arrivare fino a 1500). Ma restiamo alla cifra minima di 300 e massima di 800 consiglieri: una banale equazione ci dice che per stare alla pari di quel livello di partecipazione democratica, l’Italia odierna dovrebbe avere da un minimo di 360mila fino a un massimo di 960mila (quasi un milione!) di parlamentari. Nonostante la nota litigiosità delle parti e delle fazioni, tra le più accese nell’Italia di quel tempo, da ciò è dipesa la splendida unicità di Siena.
Ditelo a quelli che, per risolvere i problemi del nostro Paese, vogliono ridurre il numero degli attuali parlamentari. Forse riuscirebbero a capire che i livelli di civiltà e prosperità di una comunità dipendono direttamente dai livelli di democrazia che la comunità adotta (la Siena di allora docet): quanto più si riduce il numero di quelli che legiferano, tanto più si riducono i livelli di democrazia e quindi di civiltà e prosperità.
Per cui al referendum dobbiamo votare NO!
Elementary Watson!
Viva Siena! (e viva anche l’Onda!).