Cosa ne sarà “del bel paese là dove 'l sì suona”?
di Mauro Aurigi
SIENA. Tempo fa ho ricevuto nella casella elettronica la rivista pubblicitaria Green Vision Magazine edita da un consorzio italiano di aziende ottiche. Visto il titolo si poteva già immaginare che contenesse, come in effetti conteneva, un’alluvione di anglismi. Non resistetti alla tentazione e reagii col seguente messaggio alla redazione della rivista:
“Vi prego di cancellarmi dal vostro indirizzario. Non voglio avere nulla a che fare con iniziative come la vostra che, per farsi capire (o per dare immeritato lustro alla propria attività), sente necessario ricorrere, massivamente e senza alcuna giustificazione possibile, alla lingua del “Grande Badrone Biango che sda di là del mare”. E’ puro servilismo culturale, il peggiore dei servilismi, tipico del Terzo Mondo. Ed è anche il primo segnale di decadenza di un popolo e il massimo ostacolo alla possibilità che quel popolo possa risalire nella classifica delle nazioni civili (Italia docet)”.
L’ITALIANO LINGUA DEI POVERI?
Ovviamente non ho ricevuto risposta, ma quella pubblicità non mi è più arrivata. Ma capite a che punto siamo arrivati? Non voglio neanche tenere conto del terribile dato statistico (nel 1990 gli anglismi nei dizionari italiani erano 1600, mentre oggi, trenta anni dopo, sono diventati 4000), ma provate a pensare alla scritta “Rivista della Visione Verde” e poi confrontatela con quella assolutamente identica “Green Vision Magazine”. Immediatamente e inconsapevolmente percepireste che la scritta nella nostra lingua suona provinciale, ordinaria, dozzinale, mentre quella in inglese è elegante, intelligente, anzi, come si dice? è SMART! Eppure le due espressioni hanno lo stesso identico significato. Provate a fare lo stesso confronto con migliaia di altre situazioni (tanto è ormai inquinata la nostra lingua) come per esempio tra “Jobs Act” e “Legge del lavoro”, tra “competitor” e concorrente”, tra “hub” e “snodo” o “ganglio”, tra “okey” e “sì” o “va bene”, eccetera eccetera.
Ciò vuol dire che inconsapevolmente ci siamo auto-convinti di essere un sub-popolo, portatore di una sub-cultura. E ciò è spaventoso. Potrebbe significare che abbiamo superato il punto del non ritorno. Come potremo definirci Italiani se non useremo più la lingua italiana come inevitabilmente accadrà se non reagiamo? Già qualche anno fa il comico tedesco Harald Schmidt, domandandosi come mai Papa Francesco avesse fatto la sua prima benedizione pasquale in italiano, così si rispose, alludendo al francescanesimo ma in realtà volendo offenderci in maniera brutale: “Perché l’italiano è la lingua dei poveri”.
L’ESTINZIONE DEI KOALA E QUELLA DELLA NOSTRA LINGUA
Nel frattempo mi è arrivata un’altra pubblicità, quella del lancio di una nuova campagna ambientalista del WWF dal titolo “RENATURE ITALY”. Anche in questo caso non ho saputo trattenermi. Qui di seguito il messaggio al WWF con cui ho reagito:
“Renature Italy”?, perché non Rinatura l’Italia? Possibile che siate affetti dallo stesso servilismo culturale, tipico del Terzo Mondo, di quegli Italiani che non sono capaci di colloquiare con i loro conterranei usando la loro comune lingua? Possibile che facciate una battaglia per salvare dall’estinzione il koala australiano, senza rendervi conto che contemporaneamente ne state combattendo un’altra per l’estinzione della nostra lingua?”
Vi terrò informati, se dovessero rispondere.