(sparita dalla dialettica politica)
di Mauro Aurigi
SIENA. Ho letto la risposta che Marina Gennari ha dato alla richiesta dell’amministratore di un blog cittadino di illustrare il programma della lista Sinistra Civica Ecologista per le elezioni regionali (potete vedere tutto qui).
Che dire?
Un plauso grosso come una casa: a mio parere questo è il più decente e sincero programma di questa tornata elettorale che mi sia stato consentito di leggere. Ma…., c’è un ma. In tutto quel documento è assente il termine democrazia (non me ne voglia la Gennari: colgo questa occasione solo per discutere di un tema che è totalmente comune a tutta la politica italiana). E non intendo riferirmi all’aspetto terminologico, ma al suo contenuto etico. Contenuto che per la verità talvolta appare sul documento ma solo indirettamente (p.e.“puntare sulla partecipazione, sul dialogo e sull’interrelazione di tutte le forze presenti per creare una nuova comunità ecc. ecc.”), mentre vi è del tutto assente l’onesta convinzione che debbano essere i cittadini a conquistarsi il diritto di gestirsi la propria comunità senza tanto bisogno delle “forze politiche”(*) e soprattutto dei loro capi. Convinzione, questa, vecchia di 8 secoli (fu elaborata dagli umanisti a cavallo tra Dugento e Trecento) ed è semplicissima da descrivere: “arte di gestire una società di uomini liberi solo sottomessi alle leggi che essi stessi si danno”. Il fascismo che ancora serpeggia allegramente nella nostra cultura (non è nato con Mussolini né è morto con lui) fa sì che a tutti i livelli si ritenga che una società sia felicemente condotta e sviluppata solo se ha buoni governanti con buoni programmi, perché i normali cittadini non hanno la maturità e la cultura necessarie all’autogoverno.
Interrompo un attimo l’esposizione per brevemente narrare due esperienze personalissime.
DUE ESPERIENZE PERSONALISSIME
Molti anni fa il presidente della Provincia di Siena Ceccherini, dopo l’ennesimo risultato delle urne che confermava il Pci vincitore assoluto (se mi ricordo bene la provincia premiava il partito anche col 58% dei voti), se ne uscì sulla stampa cittadina con questa trionfante dichiarazione letterale: “La gente ci vota perché governiamo bene”. Io, che all’epoca ero di stanza a Bari, gli risposi altrettanto letteralmente (non ho mai saputo se la riposta fu pubblicata): “Io, a voi buoni governanti senesi, vi manderei a governare Bagheria (Palermo): avreste 30 giorni di tempo per adeguarvi alla situazione locale o finire in una pozza di sangue. Facile governare i Senesi eh? Ma il merito non è vostro ma solo dei Senesi”.
Non capii allora quanto vera e quanto generalizzabile fosse quella mia convinzione. Ma lo capii bene qualche anno dopo (anni ’80 mi pare di ricordare) quando ad una conferenza potei incontrare a Firenze il professore Robert Putnam di Harvard, del quale avevo appena letto “La tradizione civica nelle regioni italiane”. Così potei ringraziarlo perché mi aveva aperto gli occhi sul fatto che le attuali differenze tra nord e sud in Italia non dipendessero dalla circostanza che il nord aveva avuto nell’Ottocento buoni governanti (Austriaci e Lorena) e il sud invece aveva avuto il Papa e i Borboni, come ci avevano insegnato a scuola. Le differenze invece dipendevano esclusivamente dal fatto che il nord aveva avuto nelle città-stato del Basso Medioevo, con l’Umanesimo, le prime esperienze democratiche, tanto democratiche rispetto a quei tempi da essere oggi ritenute all’origine del pensiero politico occidentale, ossia dell’Occidente come oggi inteso. La replica di Putnam fu questa: “In realtà non era difficile capirlo: basti pensare a Bologna che dal Cinquecento all’Ottocento incluso era parte dello Stato pontificio. Ciò nonostante per noi Americani è l’unico punto chiaro della politica italiana (sic!)” Meravigliato ribattei: “Ma professore, siamo in piena guerra fredda e lei mi dice che la città meglio amministrata, per gli Americani, è quella in assoluto la più comunista?”. Mi guardò come si guarda un figlio un po’ ritardato e mi disse: “Non penserà mica che sia stato il partito comunista a rendere civile Bologna, eh!? E’ Bologna che ha reso civile il Pci!”.
Ho imparato la lezione: non c’è forza politica o capo politico o lista civica che conti: il livello della qualità della politica di una comunità, chiunque governi, dipende esclusivamente dalla qualità media culturale, morale e civile della popolazione.
BISOGNA CRESCA IL SENSO CIVICO DELLA SOCIETA’ CIVILE
Quindi oggi – e torniamo al punto in cui avevo interrotto – mi fanno ridere le “forze politiche” e i loro capi che, da quasi 2 secoli ormai, ci rompono i cabbasisi con le loro mirabolanti assicurazioni di essere gli unti dal Signore, gli uomini della Provvidenza, insomma il meglio del meglio (e ciò tanto per confermare quanto sia vero che il fascismo non è nato con Mussolini né è morto con lui). Ma è vero: il popolo ci ha creduto, anche se attualmente in misura sempre più decrescente. Insomma politicamente il nostro popolo è immaturo, almeno rispetto alle più avanzate comunità europee: pensa sempre che tocchi a qualcun altro togliere le castagne dal fuoco. Ma è immaturo perché da sempre viene allevato dalla “forze politiche” nell’ovatta, impedendogli l’emancipazione sociale, culturale ed economica.
Spero si sia capito cosa intendo dire, pur convinto che il mio non sia oro colato: abbiamo bisogno che la coscienza civile e il senso di responsabilità della popolazione cresca, e faccia così crescere, allo stesso tempo e sotto ogni altro aspetto, l’intero Paese.
NECESSARIO IL RICORSO GENERALIZZATO AL REFERENDUM POPOLARE
E la via, forse l’unica, per provocare quella crescita (e questo vale in mille situazioni oltre che nella politica), è caricare la cosiddetta società civile di responsabilità per accrescerne l’emancipazione. E l’unico strumento a tale scopo, a mio parere, è il referendum popolare a 360°: propositivo, legislativo e abrogativo, con l’eliminazione di quel quorum che serve alla “casta” della politica per conteggiare l’astensione dal voto come un voto negativo, così ottenendo, quanto più spesso è possibile, l’azzeramento del risultato. No, non c’è attualmente alternativa: il referendum popolare è l’unico strumento per fare responsabilmente crescere il popolo e insieme a lui tutto il Paese. Si capisce al volo che l’opposizione delle “forze politiche” e dei loro capi ad una simile ipotesi sarebbe totale e feroce perché l’uso diffuso del referendum aumenterebbe il potere del tanto (solamente) celebrato popolo sovrano e diminuirebbe il loro.
Per 5 anni ho lavorato nella Commissione statuto del Consiglio comunale di Siena alla revisione delle norme che regolano il referendum comunale. Cinque anni, per poi vederne alla fine bocciato il progetto in Consiglio comunale dalla maggioranza delle “forze politiche”.
IL REFERENDUM, STRUMENTO DELLE SOCIETA’ PIU’ EVOLUTE
Ma comunque si rigiri il problema, la soluzione per me è sempre la stessa: il referendum popolare (**). E mi conforta la constatazione che quanto più una società è evoluta, tanto più frequente e onnicomprensivo è il suo ricorso al referendum popolare. Senza citare la civilissima Svizzera, dove perfino l’altezza dei minareti islamici è sottoposta a referendum (https://www.ilcittadinoonline.it/lettere/non-mi-piacciono-gli-svizzeri/ ), in Danimarca, per esempio, gli otto passaggi per la realizzazione della U.E. (Roma, Lisbona, Maastricht, Schengen, Dublino ecc.) sono stati sottoposti a referendum popolare. Noi a malapena riuscivamo a capire dai media che le nostre “forze politiche” e i loro capi avevano fatto quello che gli pareva.
Per chiudere lasciatemi infine fare queste tre citazioni:
“Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini” (Jean Jacques Rousseau),
“Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi” (Bertolt Brecht)
“Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese” (John F. Kennedy).
In conclusione: non voterò mai più “forze politiche” che non abbiano in programma la dilatazione del ricorso al referendum popolare nel senso sopra sostenuto.
(*) per “forze politiche” vedasi qui: https://www.ilcittadinoonline.it/lettere/aurigi-la-costituzione-populista/
(**) Ricordiamoci quanto si sia dimostrato maturo e responsabile il nostro popolo di fronte ai referendum “epici” come quelli dell’aborto, del divorzio, delle centrali nucleari, delle acque pubbliche, della riforma costituzionale prima di Berlusconi e poi di Renzi, ecc., e come ci siano rimaste male le “forze politiche” e i loro capi che in maggioranza erano decisamente contrari ai risultati che si ottennero.