ROMA. Con una nostra precedente circolare dell’11 settembre scorso, LA MALATTIA “IMPROVVISA” DIVENTA CAUSA DI LICENZIAMENTO, commentavamo la sconcertante sentenza della Corte di Cassazione n° 18678/2014 che, di fatto, apriva l’ennesima crepa nel campo del diritto del lavoro.
La Corte affermava che “la prestazione lavorativa del licenziato risulta inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale e più in particolare le assenze comunicate all’ultimo momento hanno determinato la difficoltà proprio per i tempi ristretti a trovare un sostituto”. In sostanza la sentenza citata sanciva il fatto che il licenziamento “sia oggettivamente giustificato in un caso di malattie improvvise”.
Adesso la Corte si spinge addirittura oltre nel frantumare le tutele del soggetto più debole, il lavoratore, andando a sovvertire orientamenti giurisprudenziali e dottrinali assunti dalla stessa Cassazione in circostanze analoghe. Stiamo assistendo ad una “deriva” della Riforma Fornero che sembra coniugarsi perfettamente con l’immanente “Jobs Act” del Governo Renzi. Prima ancora che il Parlamento, i giudici cassazionisti indicano e condizionano la via legislativa, suggerendo persino pseudo punti di mediazione affinché la Riforma del Lavoro possa trovare una sua più facile e rapida approvazione.
La Corte di Cassazione, infatti, con sentenza del 6 novembre 2014, n. 23669 (e siamo proprio in ambito bancario), interviene in tema di licenziamento e reintegrazione ex art. 18 Stat. lav. come modificato dalla L. 92/2012 e, seppur in questo specifico caso ha rigettato il ricorso della Banca confermando il reintegro del lavoratore ordinato dalla Corte d’Appello, nelle motivazioni afferma un’interpretazione dell’art. 18, come riformato dalla Legge Fornero, di estrema gravità. La Corte chiarisce, infatti, che “esula dalla fattispecie che è alla base della reintegrazione ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento addebitato”. In sostanza, la reintegrazione nel posto di lavoro avviene solo in caso di verifica giudiziale della insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento medesimo rispetto alla quale non può esservi alcuna valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento addebitato.
Se il fatto attribuito al lavoratore sussiste, non ha quindi alcun rilievo che lo stesso sia di scarsa importanza e che, dunque, il licenziamento sia del tutto sproporzionato. Potremmo quasi affermare che “L’IRRILEVANZA DIVENTA CAUSA DI LICENZIAMENTO”.
In tali casi, l’unica valutazione che il giudice potrà fare sarà relativa al fatto che ricorrano o meno gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo e, nel caso che li ritenga non ricorrenti, in considerazione della sussistenza del fatto, non ci potrà essere reintegro, ed il rapporto di lavoro sarà risolto con effetto dalla data del licenziamento, con condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva, con buona pace del lavoratore e della sua famiglia.
Crediamo che anche il Sindacato abbia il preciso dovere di opporsi a tutto questo.
SEGRETERIA NAZIONALE UNISIN