"Si inneggia al ribasso del costo del lavoro e alla riduzione dei diritti dei lavoratori come salvagente"
SIENA. Da Claudio Guggiari, segretario generale CGIL Siena, riceviaamo e pubblichiamo.
Mentre si discute di come affrontare il Piano nazionale Industria 4.0 – soprattutto gli effetti di un’ampia e permeante digitalizzazione dei processi produttivi e dei prodotti – il ceto imprenditoriale avanza le vecchie e classiste richieste.
Nel momento in cui l’ulteriore evoluzione dei sistemi produttivi ha sempre più bisogno di professionalità culturalmente attrezzate sul piano generale e specifico e flessibili si inneggia al ribasso del costo del lavoro e alla riduzione dei diritti dei lavoratori come salvagente delle imprese.
Quando il lavoro in team, la capacità di attuare programmi, la creatività e l’autonomia si presentano come avanguardie professionali della nuova competitività di impresa gli imprenditori pensano che questa nuova capacità collaborativa possa ancora sottostare alla regola del ricatto permanente fatto di assunzioni a termine e di riduzione dei diritti di chi lavora.
Per fortuna non tutti sono così. Ma la sensazione che in ogni passaggio della storia dello sviluppo tecnologico ci sia chi rivendica una posizione dominante o vuole mantenerla e non concepisca un innalzamento sia pur responsabile delle condizioni di chi lavora è molto netta.
E’ veramente disarmante che ci si preoccupi di non alzare le tutele di chi lavora recuperando una dignità del lavoratore spesso calpestata, definendo quando si tratta di utilizzo improprio dei contratti a termine ed avendo il coraggio di andare oltre anche il necessario ripristino della tutela reintegrativa contro i licenziamenti illegittimi. E non ci si curi invece di fenomeni sociali (vedi Costituzione della Repubblica Italiana) e di mercato, nonché economici, che hanno un impatto molto più rilevante nella dimensione macroeconomica.
Ma non vi dice niente che ormai in questo Paese la forbice fra chi guadagna sempre di più e chi sempre di meno si sta appunto allargando, che 20 milioni di persone non si curano più o non più come dovrebbero, che oltre l’80% dei nuovi contratti di lavoro sono precari – con tutta l’instabilità che alimentano anche sul piano dei consumi – che circa 10 milioni di persone sono in povertà o sulla soglia della stessa, che aumentano gli infortuni mortali, che non ci siano sufficienti ammortizzatori sociali per contrastare efficacemente la disperazione di chi perde lavoro ed agevolare una sua ricollocazione, che sempre meno persone leggano, che siamo uno dei Paesi occidentali con più dispersione scolastica,….?
Non sarebbe meglio, cari imprenditori, abbandonare una vetusta e classista ideologia e concentrarsi su come possono evolvere le relazioni sindacali, su quali richieste possono unirci – a partire, questo sì, dal costo e dall’efficienza dei servizi pubblici che tali devono rimanere – su quale visione per il futuro abbiamo del territorio, delle sue linee di sviluppo e di cosa serva per sorreggerle, di quale architettura istituzionale abbiamo bisogno – a partire proprio dai nostri confini provinciali -, come far crescere imprenditoria e management e creare condizioni più stabili di occupazione?
E’ un momento in cui fare sistema può fare la differenza, dentro e fuori le aziende: noi siamo pronti a provarci e voi?”.