Il segretario generale senese spiega perché il sindacato deve "resistere"
SIENA. 2.299,00 euro netti compresi 468,71 euro lordi percepiti come da regolamento, fermo da sette anni, per i km effettuati negli spostamenti lavorativi. Questa è la mia retribuzione di luglio. 75 persone a libro paga, alcune collaborazioni, 21 sedi di proprietà. E, soprattutto, oltre 56.000 iscritti. Una responsabilità per assumere la quale occorre che sia prima di tutto sentita, ma non mi pare eccessivamente retribuita. Non voglio fare paragoni, che peraltro potrebbero aiutare a capire come fare sindacato non possa essere considerato un privilegio sul piano economico, perché prima di tutto il mio ed il nostro impegno si fonda sull’appartenenza. Sul riconoscere e sentire come propri i bisogni dei lavoratori, dei disoccupati, di tanti giovani e meno giovani in difficoltà, di donne discriminate, di persone che vengono da paesi lontani che fuggono da guerre o da terre senza futuro.
Il mio impegno, che non potrà oltrepassare gli 8 anni in questa responsabilità, nasce da un percorso democratico. Sono gli iscritti che decidono dei gruppi dirigenti e che hanno e avranno sempre di più un ruolo determinante insieme alle rappresentanze nei luoghi di lavoro. Una democrazia di mandato che decide e rinnova.
Gli oltre 300 accordi stipulati a Siena in questi lunghi anni di crisi testimoniano della grande necessità del sindacato. Qualcuno vorrebbe considerarlo un sostantivo da relegare alla storia in una concezione personalistica, quasi padronale, della politica. Questo è l’errore in cui non dobbiamo incorrere. Il sindacato non è l’azienda dei funzionari. Il sindacato è l’unica possibilità per tanti, ancora oggi, di avere risposte individuali e collettive: esso esprime la forza di tante individualità che solo coalizzandosi fra loro possono auspicare ad una condizione migliore. La pari opportunità di accesso e di sviluppo, di diritti e di doveri, ancora oggi in questa società non solo non esiste per le donne ma, più in generale, non esiste per la classe lavorativa e per chi auspica di entrarvi a far parte.
Un mondo è cambiato, i paesi che un tempo erano in via di sviluppo oggi acquistano pezzi pregiati dell’economia occidentale e del loro debito pubblico. La globalizzazione è in atto ed un cambiamento si impone per tutti, noi compresi. Quel cambiamento lo stiamo già vivendo anche al nostro interno e lo dovremo far vivere ancora di più nelle nostre politiche contrattuali e sociali. E la politica dovrà essere più incline ad ascoltare le ragioni del mondo del lavoro.
Enormi diseguaglianze negli ultimi anni si sono confermate ed ingigantite. Enormi passi indietro sono stati fatti ultimamente nel nostro paese sul piano dei diritti sindacali, che sono diritti di cittadinanza, mascherandoli con l’obbiettivo di estendere gli stessi a tutti i lavoratori. La finanziarizzazione dell’economia ha fatto perdere di vista le necessità di investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture, nei processi produttivi, sui prodotti e servizi per rendere competitivo nella giusta misura sui mercati internazionali il nostro paese. I tagli lineari hanno ridotto e privatizzato lo stato sociale e, quindi, indebolito ancora di più le condizioni dei ceti medio bassi della popolazione anche alla luce di alcuni interventi che hanno segnato una inversione di tendenza. L’assenza di una politica industriale ha reso ancor più drammatica la situazione.
La persistente diseguaglianza del sistema fiscale è uno dei principali motivi che impediscono la redistribuzione dei redditi e segnano la lentezza con cui i consumi interni si stanno modestissimamente riattivando. La stessa occupazione, che pare in lieve ripresa, dovrà fare i conti con la fine degli incentivi alle assunzioni così dette a “tutele crescenti” che segnano comunque una fragilità intrinseca dettata dai tempi di lavoro spesso non pieni. La precarietà del sistema occupazionale e produttivo, la sua debolezza, la continua rincorsa alla diminuzione dei costi potrebbero essere le cause del drammatico aumento delle morti sul lavoro, segno di una inciviltà che rende ancora più urgente rafforzare un’opera di prevenzione che abbracci la scelta di uno sviluppo qualitativo.
Andrà risolto il tema degli esodati che ancora aleggia su tutte le nostre teste e che segna una vergognosa pagina di storia per un paese che si dice democratico. Insieme alla riforma del sistema previdenziale che andrà operata per ristabilire certezze per i pensionati, possibilità d’impiego per i giovani, uscita dal mondo del lavoro in età ragionevoli e senza penalizzazioni.
La volontà di mettersi insieme sindacalmente per fronteggiare su questi ed altri temi in un rapporto di forza, la cui necessità non è mai venuta meno, e con un agire democratico le posizioni politiche e imprenditoriali avverse oggi rappresenta per alcuni l’ultima barriera da abbattere.
È’ evidente che non tutti siamo uguali, ma se il mondo del lavoro non è ancor più pesantemente arretrato negli ultimi anni lo si deve a tante donne e tanti uomini che hanno deciso di sostenere la battaglia sindacale. Battaglia che dovrà continuare con vigore!
Claudio Guggiari, segretario generale CGIL Siena