"Fim e Uilm hanno firmato per dividere i metalmeccanici"
SIENA. Ci hanno preso il vizio, le segreterie di FIM e UILM, a fare dell’autunno la stagione dell’ennesimo contratto separato dei metalmeccanici. E pensare che un tempo l’autunno era “caldo”! Sono gli stessi, del resto, che da 5 anni tengono separati gli operai Fiat dagli altri metalmeccanici. Tant’è vero che in quegli stabilimenti non vige il contratto nazionale, ma quello di gruppo, con una retribuzione mensile mediamente sotto di 70 euro rispetto a quella nazionale dei metalmeccanici. In compenso, se i turni, i ritmi e i carichi di lavoro sono pesanti dappertutto, sulle linee del “super-manager” Marchionne ci si muore di corpo e di testa, ma devi fare finta di essere pazzo dalla felicità!
L’ultimo contratto, l’hanno firmato solo loro, i segretari dei metalmeccanici Cisl e Uil: piena concessione della loro disponibilità a peggiorare nella contrattazione aziendale i diritti, anche quelli consolidati, previsti dal contratto nazionale; un’elemosina di aumenti salariali, naturalmente a rate; un regalo ai padroni sulla retribuzione dei giorni di malattia di breve durata. Regalo, che accordi aziendali hanno fortunatamente cancellato, ma solo qua e là, in alcune fabbriche.
E quest’anno l’accoppiata si prepara a rifare lo stesso, come appare dalla sua piattaforma decisa il 16 luglio.
Questa piattaforma chiede aumenti salariali che sono un’offesa per i lavoratori: nemmeno 100 euro, lordi e a rate, per il 3° livello. Figuriamoci per quelli sotto!
Per le aziende che non hanno la contrattazione aziendale (sono l’80% del totale), si chiede, senza specificarne l’entità, un “adeguamento dell’elemento perequativo”, che è già una specie di mancia di consolazione.
Per le aziende, dove invece esiste la contrattazione interna, essa -si scrive nella piattaforma- è prevista in funzione della “crescita di produttività, qualità e competitività aziendale”. Come dire che non è tanto il premio di risultato l’obiettivo che sta a cuore alla FIM e alla UILM, quanto il profitto dell’azienda.
Facendosi strada in mezzo a mucchi di chiacchiere, viene infine alla luce la “rivendicazione” della “obbligatorietà dell’adesione” a Cometa, che è espressa in modo che non si capisce granché cosa voglia significare e che si spera che, tradotta in euro, non significhi: TFR addio per tutti!
Anche la FIOM ha deciso una piattaforma, l’ha fatto nella sua assemblea nazionale del 10-11 luglio.
Forse sperando che FIM e UILM si sarebbero ravvedute e avrebbero deciso di imbarcare anche lei nel rinnovo del contratto nazionale, la FIOM ha mantenuto un profilo per certi aspetti piuttosto basso e ha scritto cose generiche. Per tenere aperto il compromesso con le altre due federazioni sindacali?
Per esempio, non ha quantificato la richiesta degli aumenti del salario e dell’“elemento perequativo” per le aziende senza contrattazione interna.
E questo è grave, perché in Italia ora come non mai esiste una vera emergenza salariale, dato che il salario reale non ha fatto altro che perdere di brutto in potere d’acquisto da almeno 20 anni, a ridosso cioè della cancellazione della scala mobile (che gli permetteva di restare agganciato al caro-vita), decisa il 31 luglio 1992 da Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e governo Amato. Cosa che si è aggravata negli ultimi 7-8 anni, in cui i padroni e i governi hanno avuto totale mano libera nella gestione spietata della crisi economica.
Punti utili vengono, comunque, affermati nella piattaforma FIOM, come quando si rivendica la riduzione di orario (purtroppo, però, solo “a fronte di un maggiore utilizzo degli impianti”, ignorando quindi la necessità e l’urgenza dell’obiettivo generale della riduzione a 35 ore dell’orario settimanale a parità di salario: per difendersi dall’intensificazione massacrante dello sfruttamento del lavoro e dal peggioramento continuo della condizione lavorativa, e per aprire una fase di possibile crescita dell’occupazione).
Altri punti meritevoli di considerazione sono quelli del rafforzamento dell’uso del part-time (si spera che si intenda per chi ne fa richiesta!); dell’indisponibilità a concedere aziendalmente peggioramenti dei diritti previsti dal contratto nazionale; del rifiuto delle normative, previste dal Jobs Act sui licenziamenti per i nuovi assunti, sul controllo a distanza dei lavoratori, sul demansionamento.
Cosa c’è da aspettarsi, però, da una FIOM, che tanto è abile a lanciare proclami altisonanti, quanto è incoerente con essi, quando si tratta di farli seguire da iniziative concrete, che non siano di pura testimonianza “una tantum”, com’è successo per gli ultimi due contratti nazionali, anch’essi separati, o per le contro-riforme del lavoro che ci sono state imposte dai governi Berlusconi, Monti e Renzi? Senza contare che territorialmente la FIOM spesso e volentieri si defila anche rispetto alle direttive provenienti dalla dirigenza nazionale. Se poi la FIOM è proiettata a fare il filo a FIM e UILM, allora, alla domanda “Cosa c’è da aspettarsi dalla Fiom?”, la risposta non sarà di certo granché entusiasmante.
Forse è anche per questo che un dirigente sindacale storico, in particolare della FIOM, come Giorgio Cremaschi, si è dimesso in questi ultimi giorni dalla CGIL, accusando non solo la sua dirigenza confederale, ma anche quella di tutte le sue categorie, di essere divenuta, a partire dagli anni ’80-‘90 del secolo scorso, una organizzazione che con la tutela reale dei diritti dei lavoratori, precari o non precari che siano, e dei disoccupati ormai ha ben poco a che vedere.
I COBAS (questo, lo diciamo con la massima modestia, viste le nostre piccole dimensioni) sono pronti a impegnarsi, coi lavoratori e con la Fiom stessa, non solo sui punti positivi emersi sopra, sia dalla piattaforma FIOM, sia dalle nostre considerazioni, ma anche sulla questione retributiva, con la rivendicazione di FORTI aumenti di salario UGUALI per tutti e per tutte.
Una impostazione di questo tipo del rinnovo del contratto nazionale non solo può condurre i metalmeccanici a realizzare obiettivi rispondenti ai loro bisogni, ma può anche aprire una stagione di lotte negli altri settori del mondo del lavoro subordinato sulle loro esigenze specifiche. Non sarebbe la prima volta che le lotte dei metalmeccanici produrrebbero questa sorta di “effetto domino”.
Condizione, questa, per lanciare una mobilitazione generale per la cancellazione dell’infamia delle norme sul sistema pensionistico e sul lavoro emanate dai governi che si sono succeduti dal 1995 a oggi, in particolare di quelle contenute nei decreti legislativi di attuazione del Jobs Act, dai licenziamenti sempre all’ordine del giorno per i neo-assunti, al grave ridimensionamento della cassa integrazione, al demansionamento, al controllo a distanza di tipo sbirresco sui lavoratori e sulle lavoratrici.
Condizione questa, inoltre, per darsi la forza per tutelarsi da condizioni lavorative molto spesso infernali e per rialzare la testa sul posto di lavoro e affermare la nostra piena dignità, ogni giorno sotto tiro dell’arroganza della gerarchia aziendale.
COBAS LAVORO PRIVATO