SIENA. Da Paolo Cerrone (Fabi) riceviamo e pubblichiamo.
“UN CARO SALUTO ALLA MIA CASSA RURALE ED ARTIGIANA DI ASCIANO CHE DOPO OLTRE UN SECOLO DI STORIA ( 29/06/1911 al 31/05/2016) DI CUI 1/4 TRASCORSO INSIEME, CI HA LASCIATO PER DIVENTARE PARTE DI UN’ALTRA CONSORELLA.
IN QUESTI ANNI MI HA TRASMESSO QUESTO MOTTO “NON MOLLARE MAI ANCHE CONTRO I POTERI FORTI!!”
Anche nella mia Cassa non sono mancati i lanciatissimi “manager” che pretendevano di modellare il mondo, compresa la nostra Cassa, accusano i loro detrattori di non avere lo sguardo volto al futuro, di essere ancorati alla nostalgia del passato, di un passato che se ripercorso bloccherebbe la crescita della azienda. Avevano ragione. Volevo tornare a un passato che non c’è più, a una dimensione di Banca a misura d’uomo. Ma è veramente un danno ricercare le nostre origini?
È un errore tornare a fare la Cassa Rurale ed Artigiana, privilegiando i reali bisogni dei Soci e del territorio, senza abbracciare le logiche di profitto a tutti i costi perseguite negli ultimi anni, che esaurita la spinta del mercato hanno portato a violente crisi finanziarie anche nel nostro settore, mentre il benessere sociale era già stato sacrificato sull’altare di momentanei e instabili guadagni?
Il voler tornare al passato non era un problema ma la soluzione a finche oggi la Cassa non venisse incorporata (salvataggio) da una consorella. Ci siamo dimenticati che il successo delle Casse Rurali, poi BCC, era la dimensione di “vicinato” che raggiungeva tutti i piccoli clienti e i piccoli imprenditori del territorio, da sempre linfa vitale del Movimento Cooperativo. Invece, gli illuminati “manager” che hanno preso il comando della BCC hanno cominciato a coltivare sogni di grandezza, scimmiottando le banche di ben più consistenti dimensioni. Alle ortiche il rapporto quasi familiare con piccoli clienti e imprenditori, dentro i grandi clienti e le grandi aziende. Grandi guadagni.
Ma anche grandi, enormi rischi, bilanci da paura, come abbiamo visto proprio negli ultimi quattro bilanci d’esercizio in rosso. E il rimedio scovato da questi signori prevede, oltre a non mollare un euro dei loro scandalosi privilegi e compensi, in fusioni e accorpamenti, allontanandosi sempre di più dalla dimensione tradizionale del Credito Cooperativo.
Chi pagherà di quanto accaduto: i lavoratori o la classe manageriale?
Anche negli anni trenta i “poteri forti” di allora insistevano in Toscana in accorpamenti tra istituto, ma alcuni soci delle casse di allora si mossero subito appoggiando chi condivideva la loro autonomia e con grande sacrificio e determinazione si sono opposti a questo disegno, per continuare con fatica a fare la piccola banca locale. Rimanendo ancorati ai principi solidaristici e mutualistici che ne ispirarono la costituzione, cercando sempre, con ogni mezzo e con la perseveranza, di gestire il mutare dei tempi senza stravolgere la propria identità. Per le BCC “piccolo” non sempre è sinonimo di “debole” né di “inefficiente” ma può voler dire radicato nel territorio, vicino ai clienti che spesso sono anche soci, non paralizzato dai rigidi criteri del rating nell’erogazione del credito alle Piccole e Medie Imprese.
“ … il motto della Banche di Credito Cooperativo non dovrebbe essere “NON MOLLARE LA POLTRONA E I PRIVILEGI E I COMPENSI DA ROCKEFELLER” ma NON MOLLARE MAI VICINO AL TERRITORIO CHE LE HA VISTE NASCERE”.”