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Alice D’Ercole: “Senza lavoro e senza qualità salariale non c’è futuro per Siena”

La segretaria provinciale della Cgil dipinge un quadro a tinte fosche per il territorio

Alice D'Ercole

Intervista ad Alice D’Ercole, segretaria provinciale della Cgil, a cura di Augusto Mattioli

SIENA. Da luglio a dicembre sono stati cancellati nel territorio senese oltre 1200 posti di lavoro. Il dato ce lo fornisce rispondendo alle nostre domande Alice D’Ercole, segretaria provinciale della Cgil. ”E non ci sono solo le grandi industrie che crollano”, aggiunge. Quindi non solo Beko, ma una crisi più generale – che in assenza di una banca che aveva un ruolo molto più concreto nell’economia senese di quello attuale  -non fa sentire tanrquilli.

Mps non c’è più la nostra osservazione iniziale…

MPS c’è e, a distanza di anni, anni di arretramento nel radicamento delle filiali e contrazione di sportelli ed occupazionale, finalmente registra un nuovo consolidamento economico finanziario, frutto soprattutto del buon lavoro dei suoi dipendenti. Risultati importanti ma che si stanno traducendo solo in una progressiva dismissione dell’impegno dello Stato e in paventate operazioni societarie con finalità esclusivamente finanziarie volte alla remunerazione del capitale piuttosto che ad un rafforzamento degli investimenti sull’economia reale. Per noi i presupposti di qualsivoglia operazione societaria devono essere chiari: la salvaguardia del perimetro della Banca ed il radicamento territoriale delle attività di Direzione. La Banca c’è ma non rappresenta più il polmone in grado, attraverso la Fondazione, di sostenere il territorio, che in questi anni non ha saputo ripensarsi ed oggi vive una crisi profonda del suo tessuto produttivo, economico e sociale.

Ci sarebbe voluto con la situazione Beko.

Probabilmente non sarebbe bastato. Beko è la rappresentazione dell’inesistenza di politica industriale di questo Paese. Due aziende si fondono ad aprile, accaparrandosi quote di mercato e a novembre, dopo soli 6 mesi, senza alcun piano di investimenti, senza un progetto industriale, presentano un piano di dismissione con il licenziamento della metà dei lavoratori, 299 per il sito di Viale Toselli. Il Governo che sventola una salvifica Golden power, che, dopo alcuni mesi, si rivela un’inaccettabile menzogna e maschera il sacrificio dello stabilimento senese sotto il falso grimaldello del capannone in affitto. Siamo l’agnello sacrificale concesso da Urso ai turchi in chiave tutta politica. Oggi dovrebbe essere il tempo dell’unità, di tutte le istituzioni e le forze politiche a fianco delle maestranze e del sindacato, nella difesa dell’interesse del territorio e dei posti di lavoro. Non basta l’impegno unanime preso da Comune, Provincia e Regione; il Governo ha il dovere e la responsabilità di accompagnare il processo di reindustrializzazione, di imporre all’Azienda di mettere risorse e non le briciole, di non fermare le macchine al 31/12/25 e di tutelare la continuità occupazionale e salariale fino all’arrivo di un nuovo soggetto industriale.

Si stanno perdendo anche altri posti di lavoro nel territorio senese.

Beko è solo l’emblema più pesante di quello che questa provincia sta affrontando: crisi aziendali che stanno falcidiando il nostro territorio e che stanno compromettendo il futuro lavorativo di migliaia di lavoratori. Da luglio a dicembre sono stati cancellati oltre 1200 posti di lavoro: 200 all’Avicoop, 25 alla Comege, 50 alla Telco, 10 alla Travertino Toscano, 300 mancati rinnovi contrattuali nella camperistica, 299 alla Beko. GSK non sta adottando procedure di licenziamento collettivo, ma cancella 270 posti di lavoro nelle stabilimento senese. E non ci sono solo le grandi industrie che crollano. Interi settori vivono la crisi, come le pelletterie con oltre 1300 lavoratori in cassa integrazione, il legno, industria con quasi 150 persone in regime di ammortizzatori sociali, e l’edilizia che sta crollando. Il danno per il mondo del lavoro è ben più profondo, perché ogni crisi aziendale inevitabilmente travolge anche la filiera, il tessuto di imprese che lavorano nella componentistica, nei servizi, nella logistica e nel commercio. Ed è oltre l’8% dei lavoratori dipendenti nella nostra provincia che vive, anzi meglio sopravvive, grazie solo agli ammortizzatori sociali. Un incremento del ricorso a forme di sostegno al reddito che rispetto al 2019 è aumentato del 150%. Un territorio in cui arretra il manifatturiero e l’industria e che sta consegnando il suo sviluppo a due sole leve di traino: turismo e agricoltura, che sono settori da sempre rilevanti per l’economia della provincia, ma che non possono rappresentare le uniche fonti di occupazione, perché è endemico che siano caratterizzate da stagionalità e precarietà, quelle in cui insistono maggiormente anche fenomeni di lavoro grigio e nero.

Le persone si stanno impoverendo. Salari che si riducono, lavoro che manca e inflazione alle stelle. Nel 2024, ancora una volta, Siena è tra le città più care d’Italia, con un tasso di inflazione di 1.7% più alto della media italiana, che già aveva impoverito salari e pensioni di quasi due mensilità, il costo degli affitti pesa ben oltre il 1/3 del reddito delle famiglie e la media delle giornate lavorate è di 3 giorni più alta di quella italiana, ma con buste paga più basse di 3 euro, rispetto alla media nazionale.

Quali sono gli effetti delle guerre sull’economia senese?

Quando i potenti si fanno la guerra, sono i poveri a pagare. Sono le persone e i popoli che vivono nei Paesi in cui si consuma morte, violenza e distruzione, in cui per finanziare l’industria della guerra si sacrificano risorse, che dovrebbero sostenere crescita e sviluppo, politiche sociali e spesa pubblica per i servizi essenziali. Ed è la dinamica che affronta anche l’Italia che per sostenere 35 miliardi di euro di spesa militare ci condanna, nel piano strutturale, ad una dinamica di austerità per i prossimi 7 anni imponendo un taglio dell’1,5% del PIL alla spesa pubblica su istruzione e ricerca, sanità e previdenza e ci consegna all’inesistenza di politica industriale. Nelle economie di guerra si rafforza una politica di autarchie fatte di dazi e muri, di protezionismo e razzismo. La nuova era trumpiana avrà effetti deflagranti sull’economia locale che rischia di soffocare sotto la scure delle politiche protezioniste e dei dazi e consegnare i pochi settori, che ancora tenevano grazie alle esportazioni come i prodotti farmaceutici (2,8 miliardi), camper (660 milioni) e vino (440 milioni), ad una lenta agonia. Siamo infatti un’economia locale che vive di export che, dati del rapporto annuale della Camera di Commercio, vale per il nostro territorio 5,3 miliardi di euro ed in cui gli Stati Uniti, con oltre 1,3 miliardi, sono il primo soggetto commerciale.

Quali le prospettive del capoluogo, i rapporti con l’amministrazione e quelli tra provincia e capoluogo?

Il quadro delle difficoltà è complesso e sono convinta che la risposta non possa che essere articolata e sostenuta da un patto collettivo per il rilancio e lo sviluppo della provincia. Una stagione di sinergie ed alleanze tra tutti gli attori del territorio: organizzazioni sindacali, associazioni di categoria, forze politiche e sociali, ma soprattutto le Istituzioni. Solo con un patto collettivo che superi le divisioni ed i campanili saremo in grado di affrontare questa emergenza e far fronte alle tante necessità socioeconomiche. L’alternativa è che la crisi complessiva si trasformi in un declino irreversibile determinando un dramma sociale sulle spalle e sulla pelle di lavoratori e pensionati.

CGIL CISL UIL hanno costruito una piattaforma territoriale con la richiesta di istituzione di tavoli di confronto, nella convinzione che la capacità di rilanciare la qualità del tessuto produttivo e del lavoro non possa che passare dalla costruzione di un nuovo modello territoriale fondato sulla responsabilità sociale delle imprese e sull’innovazione nella transizione digitale, tecnologica ed ambientale. Questo significa politiche economiche di sostegno al rilancio e alla crescita che premi le aziende che si inseriscono in percorsi qualificanti socialmente e penalizzi chi fa leva sulla concorrenza sleale, fondata sullo sfruttamento lavorativo e sul dumping contrattuale. Significa progettualità che potenzino le reti infrastrutturali a partire dalla viabilità su rotaia con i necessari collegamenti rapidi con il nord e sud del Paese, per il trasporto merci e persone, e dalla manutenzione della rete viaria. Significa mantenere un sistema sociosanitario in grado di continuare a dare risposte adeguate ai crescenti bisogni dei cittadini, anche nelle aree interne. Significa una straordinaria capacità del sistema istituzionale di operare scelte coordinate per rendere attrattivo il nostro territorio dal punto di vista turistico, superando la logica predatoria del mordi e fuggi e ridefinendo i perimetri della locazione turistica breve, che rischia sia di affossare l’industria del turismo che occupa migliaia di lavoratori in provincia sia di compromettere il diritto all’abitare dei tanti cittadini che vivono in affitto. Stiamo riscontrando interesse da parte delle Istituzioni locali, adesso è il tempo di aprire il confronto e dare sostanza al percorso, dal canto nostro misureremo la disponibilità rispetto alle richieste avanzate.

Come sono i rapporti con gli imprenditori?

Siamo un Paese in cui si è radicato un modo di fare impresa che ha cancellato ogni ancoraggio all’art. 41 della Costituzione. Una deriva figlia di politiche nazionali, che da oltre 20 anni stanno progressivamente deregolamentando il mercato del lavoro, cancellando qualsiasi elemento di responsabilità sociale del sistema imprenditoriale, che in nome del profitto sacrifica il lavoro, i salari ed i diritti. Come se la vita ed il futuro dei lavoratori fosse sacrificabile in ragione dei profitti. Tutte le crisi, anche nel nostro territorio, hanno un segno in comune, tutte si scaricano sul lavoro, tutte le pagano le maestranze che perdono i posti di lavoro, che vivono di cassa integrazione, che non riscuotono gli stipendi, che si vedono cancellati gli avanzamenti prodotti dalla contrattazione integrativa. Senza lavoro e senza qualità salariale non c’è futuro per il Paese e per la nostra provincia.

Poi ho una convinzione. Che sia in atto un processo di revisionismo sul ruolo del sindacato ed il tentativo di insidiare la libertà di associazione sindacale. Il sindacato è la voce, la forza collettiva del lavoro, è il più grande strumento in mano ai lavoratori per ridurre le asimmetrie di potere nei confronti dei datori di lavoro. Il sindacato pratica contrattazione ma anche conflitto dove non c’è mediazione. E, dire come fa la Presidente del Consiglio, che il conflitto è tossico significa mettere in discussione l’identità di un Paese che riconosce, a partire dalla Costituzione, la libera associazione sindacale, e puntare ad indebolire le forme democratiche di partecipazione. E temo che questa narrazione trovi spazi di consenso anche nella nostra provincia, in cui si assiste sempre più a tentativi di discredito, con azioni antisindacali, da accordi separati ed attacchi al diritto di sciopero. Credo che un territorio che ha una storia importante di lotte operaie debba ritrovare i suoi anticorpi democratici per guardare oltre la singola vertenzialità e ricondurre ad una visione solida di democrazia nei luoghi di lavoro, fatta di riconoscimento e legittimazione della voce del sindacato, anche se conflittuale.

E con gli alri sindacati?

La CGIL negli ultimi anni ha messo in campo una straordinaria mobilitazione, nelle piazze, attraverso proposte di legge e la via referendaria. In primavera i cittadini saranno chiamati a votare su 5 quesiti referendari su lavoro e cittadinanza. Andare a votare significa non delegare qualcuno a cambiare le norme, ma farlo direttamente, riconquistando diritti e migliorando le proprie condizioni materiali. Significa che il giorno dopo non sarà più possibile, come avviene nella nostra provincia, che il 92% degli avviamenti al lavoro siano precari con contratti che durano in media 3 mesi, perché verranno reintrodotte le causali. Significa che le stragi come quella di Via Mariti a Firenze, in cui ci sono voluti giorni per capire di chi erano dipendenti gli operai morti, in cui c’è voluto un anno per i primi avvisi di garanzia, non si potrà ripetere, perché l’impresa committente sarà responsabile della salute e sicurezza dei lavoratori in appalto. Significa che se hai subito un’ingiustizia, sei stato licenziato ingiustamente, tu verrai reintegrato. Significa riconoscere a chi da anni vive, lavora e paga le tasse in Italia la giusta cittadinanza.

Il voto è la nostra rivolta sociale, ovvero la più grande risposta di democrazia che i cittadini possono dare a chi agisce non ascoltando la voce del lavoro.

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