Suolo, territorio, la nostra terra. Nostra, cioè di tutti
di Silvana Biasutti
SIENA. “Fino a quando non si tornerà ad apprezzare lo stile di un bel cappotto un po’ liso, ma ancora elegante, o una ribollita che lo è stata davvero, oppure un paio di scarpe costose sì, ma anche parecchio portate e ben risuolate; finché non cambierà questa mentalità secondo cui si appare per essere e per apparire bisogna avere tutto quello che il convento passa di più costoso e impossibile, continueremo a contare scandali .
Dopo aver visto l’Italia più squallida – dal Trota e dintorni, ai recenti colletti bianchi, per citare a casaccio – prevaricare i contribuenti, i vecchi pensionati vessati, i giovani umiliati nelle loro speranze, i lavoratori e (persino)gli imprenditori che ancora credono in ciò che fanno, ancora non mi sembra che si scorga qualche stimolo a cambiare passo, qualche idea di ‘risorgimento’ o qualche risorgimento di idee.”
Avevo iniziato a scriverlo – che non si vedevano idee per rimettersi in cammino – e poi sono stata interrotta dalla percezione che invece un nuovo sentimento si stesse facendo strada, una nuova sensibilità finora mai divenuta popolare tra la gente ‘media’ – là dove ci sono i numeri, come ben sa mister Berlusconi, che usa con perizia (e notevole cinismo!) questa sua consapevolezza.
A dare corpo alla mia percezione è stato l’ascolto e la lettura di Gian Antonio Stella, che ha iniziato da un po’ di tempo, da giornalista dotato di antenne lunghissime quale egli è, a occuparsi di ambiente, paesaggio e consumo del suolo. E lo sta facendo – come sempre – in modo intenso e martellante, tale da disegnare una pista che può diventare qualcosa di più: una tendenza. (E speriamo che non divenga pure una moda, nel cui affermarsi potrebbe capitare di ascoltare assessori, sindaci, senatori eccetera – fino a ieri sera promotori di asfalto, cemento e rotonde che si susseguono – bearsi di un paesaggio di cui non avevamo capito che si fossero mai accorti.).
Eppure: attenzione! Se uno come Stella ci crede e pensa che valga la pena di spendere colonne sul Corriere (della Sera) per scriverne, e fiato per parlarne alla radio, una qualche ragione ci dovrà pur essere; e non è forse solo la stessa che dovrebbe spingere ogni abitante d’Italia – e massimamente di una delle regioni capaci di esserne l’emblema iconografico – a urlare scompostamente ad ogni scempio perpetrato ai danni di grandi e piccoli paesaggi, sottratti agli abitanti ogni giorno (ogni ora); si tratta di beni tangibilissimi che non ritorneranno più e di cui i miei nipoti non avranno nemmeno il ricordo.
Se un grande giornalista (finalmente) si occupa di questo tema, probabilmente è perché le sue ‘antenne’ hanno colto qualcosa di significativo; qualcosa che, alla sensibilità generale magari ancora sfugge, ma che invece potrebbe diventare un argomento per diversificarsi e distinguersi in questa prima campagna elettorale . Forse, se ci stropicciamo gli occhi e cominciamo a guardarci intorno, possiamo accorgerci tutti dei danni provocati dal pensiero che “l’edilizia è il settore da cui parte l’economia”. Perché il suolo non è un’entità infinita; il paesaggio non è (solo) un’idea di ricchi sfaccendati, e l’ambiente è alla base della nostra salute; quando suolo, ambiente e paesaggio saranno finiti, non ci resterà più niente.
Senza attendere il prossimo libro di Gian Antonio Stella su questi temi, forse converrebbe cominciare a guardarsi intorno e cercare di capire che cosa occorre fare per dare loro lo spazio e il ruolo che si meritano, ma anche a farlo in modo che ambiente, suolo e paesaggio trovino il giusto ritorno economico. Un pensiero che deve riguardare la troppa edilizia vecchia o antica abbandonata a sé stessa, alle stanze vuote (e nessun incentivo a renderle abitabili), alla necessità di trovare o formare muratori capaci di restaurare il vecchio (attività che ha creato il mito del casale toscano). Per evitare un’ulteriore colonizzazione del nostro paese, come quella che mi capita di osservare nel bel paesaggio che ho il privilegio di guardare ogni giorno; la nascita di un finto “borgo” toscano, costruito in vero cemento (rivestito in pietra), con tanto di finta chiesuola con campanile a vela, di fronte a un antico paese, vero, ricco di tradizioni autentiche, circondato da vecchissimi cipressi e pieno di case vuote ben tenute. Invece si è pensato di creare qualcosa di finto antico, per turisti che pensano di assaggiare la Toscana, senza però farne l’esperienza. Una vera tragedia, per chi lo capisce…