Le emozioni di un
SIENA. Ma guarda qui – pensavo, scendendo nel profondo del Santa Maria della Scala – questo è un sito unico al mondo e a Siena (mi pare) è considerato come un ‘qualcosa’. La mia compagna di visita, nonché consuocera, americana e colta, aveva vagamente sentito parlare di questo luogo ma non si aspettava simili profondità, né certi significati, né tutto il resto.
Quando si sta molto a lungo in un posto si perdono di vista certi elementi che ci avevano impressionato , si smarriscono anche significati e pensieri che avevamo avuto nel primo impatto e ora io li ritrovavo, dopo anni (mi pareva) di oblio.
Avevo promesso a Mary che le avrei mostrato una Siena – città dove lei era già stata numerose volte, senza tuttavia avere la presunzione di conoscerla – inedita e meno scontata. Sì, perché anche questa città che avrebbe ben altre suggestioni è scivolata dentro al pastone turistico per polli già spennati.
Va chiarito subito, però, che di questo scivolone non si può dare ‘colpa’ o responsabilità a chi gestisce il turismo senese, perché questo è un problema – prima di tutto – italiano, e la colpa è, invece, di noi cittadini che abbiamo consentito, e continuiamo a permettere, che la politica (i suoi uomini) indichi direzioni e scelte che non è culturalmente in grado di dare: perché, per la più parte, quegli uomini non hanno gli attrezzi culturali, ma nemmeno i sentimenti, per esercitare questo che sarebbe un dovere pressante.
Ma anche i cittadini, a loro volta, – vittime di scelte (o loro assenza) in termini di istruzione e cultura, e con le attività formative finanziate dall’Europa nelle mani di partiti senza lungimiranza – hanno delle scusanti. Molte scusanti, ma nessun alibi, perché i cittadini che hanno occhi e orecchi per accorgersi del versante scosceso giù per il quale stiamo rotolando, ma non aprono bocca, si stringono nelle spalle, scuotono la testa e non si espongono, non si arrabbiano, non rischiano, dicendo ciò che è sotto i nostri occhi e cioè che la politica, oggi, è su un suo privatissimo pianeta, lontana dall’interesse comune; chi non si preoccupa di questo, chi non dà l’allarme, non è solo un deluso indifferente, ma è corresponsabile.
Torno a Siena, alla recentissima visita al Santa Maria della Scala, compiuta in compagnia di questa testimone disinteressata e non coinvolta nelle sorti dell’Italia (recente nipote, a parte), ma non ignara.
Siamo entrate e forse lei – non gliel’ho chiesto – avrà avuta l’impressione di una scelta un po’ snob, da parte mia, voltando le spalle alla facciata ridondante del Duomo (ma soprattutto ai tesori di bellezza che esso contiene), alla gradinata gremita di ragazzi che gridavano scattando selfie,circondati dalle bancarelle cariche di mercanzie che ormai siamo abituati a vedere ovunque, con un esercito di turisti orientali che entravano nel Duomo ordinatamente a guardare (e poi ripartire?) e il cielo che si abbassava gonfio di pioggia.
Una volta sola sono venuta a Siena con un gruppo – mi racconta – ma è un’esperienza che non farò più: l’Italia, se si può, bisogna vederla a poco a poco, in piccola compagnia, dopo essersi un po’ preparati, altrimenti non capisci la minima parte di quello che vedi; mi dice poi che li hanno portati in piazza del Campo, poi al Duomo e la delusione di quell’esperienza si dissolve nell’ingresso in quello che – le racconto a mia volta – è stato fino a un tempo abbastanza recente un ospedale, ma prima …
Molto di ciò che il Santa Maria della Scala era stato prima io l’avevo imparato dall’appassionato racconto di Anna Carli, ai tempi in cui era stata Rettore di questa istituzione e ora sto cercando di riciclarlo – con parole mie – alla mia ospite ammutolita (ovviamente e in prima battuta dagli affreschi nel Pellegrinaio).
Contrariamente a me è credente e intuisco che è intimamente colpita dal luogo. Abbiamo dunque trascorso l’intero pomeriggio lì, perdendoci e ritrovandoci, nei meandri sotterranei di questo luogo mondiale e misterioso. La mia compagna di visita rimbalzava dall’emozione per la bellezza a quella per il significato di ciò che andavamo vedendo, con frequenti scivoloni, arrampicate in micro luoghi appena resi accessibili (o così pare), bene illuminati, ma scoscesi e non del tutto sicuri, con (per ora?) poche indicazioni. Di sicuro davvero, lì sotto, c’è il fascino di un luogo capace di ‘trasmettere’ quasi con l’aria che respiri. Un giro d’Italia e della sua storia, anzi d’Europa; forse del mondo?
Naturalmente si contavano sulle dita di una mano gli sparuti visitatori di questo underground, quando siamo giunte fino a un immane mucchio di ossa che ci ha ricordato che cosa siamo davvero. Un viaggio interiore, un cammino nel tempo; ma c’è dell’altro – lì sotto – c’è qualcosa di universale e c’è futuro. Ma difficilmente questo sarà riconosciuto.
Non è difficile avere idee, a Siena; non penso però a quella che pare l’ossessione italiana di questi tempi: “abbiamo un patrimonio immenso, sfruttiamolo”. Perché non sarà con i biglietti d’ingresso, né con i parchi culturali, ma nemmeno riempiendo farinettianamente di delizie gastronomiche (magari benedette) i nostri luoghi della bellezza e dell’arte, che risolveremo i nostri problemi. Che non sono problemi economici, bensì culturali.
Non siamo più capaci di riconoscere la nostra storia (cioè chi siamo), e ancora più grave: non stiamo dando – in senso generale, di base – strumenti di conoscenza adeguati alle generazioni più giovani.
Ci siamo persi di vista.
Provo a tornare per un momento, con il pensiero, là sotto. Penso alla fine miserevole che fanno le idee, quando diventano oggetto di contese della politica, sempre alla ricerca di parole ad effetto speciale – qualche esperienza non mi è mancata – nell’ansiosa ricerca di consensi, a qualsiasi costo.
Lì dentro c’è una possibilità ‘grandiosa’ per Siena, che dico, per l’Italia, e proprio in questo momento storico – dicevo ieri sera a un’amica con cui condivido, per esperienze comuni, l’abitudine a pensare ‘in grande’ –; sì, ma la politica non lo permetterebbe mai …, mi ricorda guardandomi in tralice, e tu lo sai benissimo.