Perdere le buone occasioni fa male ai buoni prodotti
di Silvana Biasutti
SIENA. È proprio irritante scoprire che qualcuno imbottiglia del vinaccio qualsiasi, poi ci mette su un’etichetta “basta che sia”, ma con scritto il nome del vino famoso e si mette in affari, spacciandolo per una star dell’enologia italiana. Alla faccia di produttori, lavoratori, consumatori, dell’interesse nazionale, del futuro di un paese e della sua (già vacillante) reputazione. Purtroppo però non sarà l’ultimo scandalo made in Italy, ahimè, perché a leggere e ascoltare le informazioni che ci pervengono, pare che l’etica negli affari non sia esattamente lo sport nazionale. Ma i problemi di etica riguardano l’intero paese Italia, i cui abitanti hanno in cima alle loro aspirazioni quella di diventare ricchi (ricchi come lui che li ha abbagliati con questo sogno fasullo troppo a lungo, ma ha anche avuto vita facile perché questo collimava con gli espliciti desiderata della maggioranza degli elettori), quindi chi ha ancora qualche residuo granello di sale in zucca capisce (ha magari capito da tempo), che nemmeno lavorando moltissimo si riesce a diventare ricchi, se si lavora onestamente, in questa Italia in cui il fisco è davvero esoso e la burocrazia (cioè la macchina delle numerose amministrazioni pubbliche) è anche più complicata e risucchiante.
Ma se i problemi di etica si sprecano e basta vedere l’importanza data tutt’ora alle auto, gli stili di guida (più sei aggressivo, più piaci), il volume a cui si tiene il tumtumtum, gli sguardi infuocati (ogni tanto vien da pensare che siano pure avvinazzati) dei giovani e dei meno meno giovani al volante, eccetera, capisci che “essere ricchi” nel nostro paese viene inteso come una specie di diritto a “esserci”, essere visibili (a costo di essere rumorosi), farsi guardare (a costo di vestirsi in modo grottesco), farsi sentire (a costo di dire, magari in tv, delle frasi banali); un mondo che anela a salire nell’ascensore sociale senza avere una reale consapevolezza dei propri veri diritti. Finché non sarà un po’ più praticato e diffuso un percorso culturale adeguato, che metta tutti i giovani in grado di capire nel profondo in che paese straordinario vivono e com’è fondamentale imparare che esso deve essere compreso e reso disponibile per la crescita intellettuale dei cittadini (e non ‘valorizzato’ a vantaggio di pochi privilegiati), l’unico valore che verrà percepito sarà quello del denaro, del denaro in assoluto e a tutti i costi. Da ciò discende la diffusione della corruzione (divenuta endemica), lo stravolgimento identitario per cui chi è retto e onesto è un fesso, l’uso delle conoscenze (al plurale) invece della reputazione, e così via.
Ma tornando al caso che mi ha indotta a scrivere queste righe, cioè al travestimento di un vino qualsiasi – mi pare d’aver capito che si tratta di un vino nemmeno lontanamente confondibile con la docg usurpata – in una star mondiale, da quello che ho visto e letto, desumo che – ancora una volta – si sottovaluta la capacità che avrebbe la comunicazione integrata di trasformare questa spina fastidiosa in una bella lustrata alla fama di un prodotto e delle sua terra. Mi pare che ancora, nonostante gli innumerevoli diplomi in scienze della comunicazione e gli ancor più numerosi quadri che “scrivono bene”, non si conoscano e tanto meno si mettano in atto, quei principi (che diventano una seconda natura o una deformazione professionale) che fanno sì che non si stia lì a parare i colpi, o a preparare discorsetti e dichiarazioni ai media, ma si trasformi una porcata come quella di cui abbiamo avuto notizia a Montalcino, in un’occasione di narrazione, di canto. Perché è il lavoro di uomini e donne, la dedizione espressa con costanza nel tempo, sono le bellezze del paesaggio, l’affetto per la terra, l’orgoglio di proporre al mondo un prodotto non comune, la capacità di declinarlo assecondando le vocazioni dei terroir – tutto questo e molto di più – a esser stati traditi e truffati … Uno dei capisaldi, forse il più significativo, per lavorare strategicamente è la capacità di immedesimarsi nel modo di essere e di sentire di quelli a cui ci rivolgiamo – i target dei nostri prodotti –; per riuscirci si fa un lavoro che non basta mai, tante sono le cose da sapere, da imparare; tanti sono i cambiamenti a cui tener dietro (o addirittura precedere). Sempre senza travestimenti, ma sempre molto “ben vestiti”.
La comunicazione è un ponte su cui far camminare – in questo caso con il massimo dell’eleganza – un prodotto (un vino sublime e ammirato) che nasce per avere vita lunga ed elegante e che può permettersi di raccontarsi al suo massimo, di far sapere a tutti quanta vita, quanti caratteri, quanta bellezza e quanto lavoro ha dentro di sé. È un’occasione per mostrarsi con tutta la propria ricchezza culturale e sdegnare chi ha pensato di farla franca con una “patacca”, senza capire che un grande vino come il Brunello di Montalcino è ben altro. Bisogna solo essere capaci di comunicarlo.
SIENA. È proprio irritante scoprire che qualcuno imbottiglia del vinaccio qualsiasi, poi ci mette su un’etichetta “basta che sia”, ma con scritto il nome del vino famoso e si mette in affari, spacciandolo per una star dell’enologia italiana. Alla faccia di produttori, lavoratori, consumatori, dell’interesse nazionale, del futuro di un paese e della sua (già vacillante) reputazione. Purtroppo però non sarà l’ultimo scandalo made in Italy, ahimè, perché a leggere e ascoltare le informazioni che ci pervengono, pare che l’etica negli affari non sia esattamente lo sport nazionale. Ma i problemi di etica riguardano l’intero paese Italia, i cui abitanti hanno in cima alle loro aspirazioni quella di diventare ricchi (ricchi come lui che li ha abbagliati con questo sogno fasullo troppo a lungo, ma ha anche avuto vita facile perché questo collimava con gli espliciti desiderata della maggioranza degli elettori), quindi chi ha ancora qualche residuo granello di sale in zucca capisce (ha magari capito da tempo), che nemmeno lavorando moltissimo si riesce a diventare ricchi, se si lavora onestamente, in questa Italia in cui il fisco è davvero esoso e la burocrazia (cioè la macchina delle numerose amministrazioni pubbliche) è anche più complicata e risucchiante.
Ma se i problemi di etica si sprecano e basta vedere l’importanza data tutt’ora alle auto, gli stili di guida (più sei aggressivo, più piaci), il volume a cui si tiene il tumtumtum, gli sguardi infuocati (ogni tanto vien da pensare che siano pure avvinazzati) dei giovani e dei meno meno giovani al volante, eccetera, capisci che “essere ricchi” nel nostro paese viene inteso come una specie di diritto a “esserci”, essere visibili (a costo di essere rumorosi), farsi guardare (a costo di vestirsi in modo grottesco), farsi sentire (a costo di dire, magari in tv, delle frasi banali); un mondo che anela a salire nell’ascensore sociale senza avere una reale consapevolezza dei propri veri diritti. Finché non sarà un po’ più praticato e diffuso un percorso culturale adeguato, che metta tutti i giovani in grado di capire nel profondo in che paese straordinario vivono e com’è fondamentale imparare che esso deve essere compreso e reso disponibile per la crescita intellettuale dei cittadini (e non ‘valorizzato’ a vantaggio di pochi privilegiati), l’unico valore che verrà percepito sarà quello del denaro, del denaro in assoluto e a tutti i costi. Da ciò discende la diffusione della corruzione (divenuta endemica), lo stravolgimento identitario per cui chi è retto e onesto è un fesso, l’uso delle conoscenze (al plurale) invece della reputazione, e così via.
Ma tornando al caso che mi ha indotta a scrivere queste righe, cioè al travestimento di un vino qualsiasi – mi pare d’aver capito che si tratta di un vino nemmeno lontanamente confondibile con la docg usurpata – in una star mondiale, da quello che ho visto e letto, desumo che – ancora una volta – si sottovaluta la capacità che avrebbe la comunicazione integrata di trasformare questa spina fastidiosa in una bella lustrata alla fama di un prodotto e delle sua terra. Mi pare che ancora, nonostante gli innumerevoli diplomi in scienze della comunicazione e gli ancor più numerosi quadri che “scrivono bene”, non si conoscano e tanto meno si mettano in atto, quei principi (che diventano una seconda natura o una deformazione professionale) che fanno sì che non si stia lì a parare i colpi, o a preparare discorsetti e dichiarazioni ai media, ma si trasformi una porcata come quella di cui abbiamo avuto notizia a Montalcino, in un’occasione di narrazione, di canto. Perché è il lavoro di uomini e donne, la dedizione espressa con costanza nel tempo, sono le bellezze del paesaggio, l’affetto per la terra, l’orgoglio di proporre al mondo un prodotto non comune, la capacità di declinarlo assecondando le vocazioni dei terroir – tutto questo e molto di più – a esser stati traditi e truffati … Uno dei capisaldi, forse il più significativo, per lavorare strategicamente è la capacità di immedesimarsi nel modo di essere e di sentire di quelli a cui ci rivolgiamo – i target dei nostri prodotti –; per riuscirci si fa un lavoro che non basta mai, tante sono le cose da sapere, da imparare; tanti sono i cambiamenti a cui tener dietro (o addirittura precedere). Sempre senza travestimenti, ma sempre molto “ben vestiti”.
La comunicazione è un ponte su cui far camminare – in questo caso con il massimo dell’eleganza – un prodotto (un vino sublime e ammirato) che nasce per avere vita lunga ed elegante e che può permettersi di raccontarsi al suo massimo, di far sapere a tutti quanta vita, quanti caratteri, quanta bellezza e quanto lavoro ha dentro di sé. È un’occasione per mostrarsi con tutta la propria ricchezza culturale e sdegnare chi ha pensato di farla franca con una “patacca”, senza capire che un grande vino come il Brunello di Montalcino è ben altro. Bisogna solo essere capaci di comunicarlo.