Siena non può permettersi di sottovalutare la propria candidatura
di Silvana Biasutti
È più di un anno che sento parlare della città di Siena, quale candidata a Capitale Europea della Cultura nel 2019 Nessuno si stupisce a proposito di questa candidatura: semmai – da ciò che leggo e sento – è il passo con cui (non) la si porta avanti a lasciare perplessi.
Da quando la conosco, guardo a Siena con ammirazione per le incommensurabili testimonianze di un’energia creativa plurisecolare che vi si trovano; ma viene da osservare che le capitali sono tali proprio perché sono capaci di essere il centro motore di idee, non perché si pavoneggiano, chiuse nei propri privilegi, come è successo a Siena, fino a poco fa.
Temo che alla base dell’immobilità davvero appariscente con cui questa città pratica “il cane e l’aglio”, vi sia il cosiddetto vile denaro, quello che ha mosso scelte quantomeno discutibili, o (sembrerebbe) addirittura dei reati. Ma non è di questi che vorrei parlare, bensì dell’urgenza di portare avanti con convinzione la candidatura di cui sopra. Perché questo appuntamento con la cultura – e ancora di più, il cammino verso di esso – sono un’opportunità imperdibile per una città che ha perso tutto (o quasi) ciò su cui aveva contato, in modo acritico e affidandosi a un establishment chiuso a qualsiasi possibilità di dialogo, di discussione, di scambio culturale, di movimento di idee; quasi che idee (buone, meno buone, discutibili sempre) diverse da quella dello stare immobili – non facendo ciò che la città dava l’opportunità di fare, e impedendo a chicchessia di fare qualcosa in favore della città – potesse garantire la permanenza nell’identica posizione di chi già ci stava.
Ora che questa città si trova – nella sua complessa e affascinante bellezza – a non poter più contare su situazioni di intangibili privilegi, dovrebbe capire che questa candidatura non può essere (più) gestita come antan; se l’aglio è indigesto e non piace, perché non provare a tritarlo e mescolarlo con altri ingredienti?
Ora si tratta di dimostrare una buona tenuta davanti a tempi che ormai sappiamo difficili; è ora di testimoniare che si è davvero disposti a rimboccarsi le maniche, che la “lezione di Siena” (quella che ci viene così efficacemente illustrata nella sala del Pellegrinaio) è viva e attuale, ben al di là di ogni retorica, e che dentro (e intorno) a questa città non si consumano solo faide , che della politica non conservano nemmeno più il ricordo, ma che ci si può anche produrre in una vera e propria gara di solidarietà, per aiutare la città.
Siena, ora, proprio dalla cultura deve ripartire e può farlo; ma finché ci si limita a dichiararlo e non ci si misura con un progetto che dia dinamismo e attualità al contesto, creando qualcosa in grado di interessare ed emozionare il mondo, sarà ben difficile che la celebrazione di uno splendido passato aiuti a vincere la gara.
Quanto più si sarà capaci di lavorare, per rendere la candidatura senese convincente, tanto meglio sarà per Siena – che anche se non dovesse essere prescelta riceverebbe una bella dose di idee e di contatti per metterle a punto – e tanto di più sarà il ritorno ai suoi cittadini.
Che cosa occorre, a una città che ha tutto, per apparire come lo scenario perfetto per essere una “capitale della Cultura”? Questa è la prima domanda da affrontare e a cui rispondere. E aggiungo: bisogna essere capaci di affrontare le prime fasi con un impegno che sia di pura dedizione, ma proprio per questo un impegno qualificato, che dia il dovuto credito a chi ci sta, senza chiedere altro se non di essere riconosciuto.
Parliamone.