SIENA. Da anni vivo in terra senese: qui ho amici, conoscenti e addirittura un bel pezzo di famiglia. Dato che sto in campagna, a Montalcino, qualcuno potrebbe ipotizzare che sono qui per via del vino. Chi però mi conosce e ha buona memoria, sa che amo questa terra dalla prima volta che l’ho conosciuta, più di quarant’anni fa: un vero colpo di fulmine e il vino non c’entra proprio niente; anzi, sì, c’entra perché io so che è la conseguenza di una storia, o meglio di un insieme di storie. La terra e la città che ne è capoluogo e punto di riferimento straordinario sono l’anima di queste storie: non sono solo uno scenario molto suggestivo.
Tempo fa, risalivo verso piazza del Sale, guardandomi intorno. Pensavo agli anni passati – con innegabile piacere, ma di tanto in tanto con qualche perplessità – da queste parti, al fascino che Siena esercita sul visitatore, quando si incammina per queste strade per la prima volta, e poi quando acquisisce maggiore dimestichezza, quando entra in contatto più stretto con il luogo; ripensavo a tutto ciò mentre risalivo il tratto di strada che porta alla piazza con quel nome straordinario, del Sale. Pensavo quindi al nome della piazza e ragionavo su tutto quello che converge a rendere unica la città, anche i nomi che sono stati dati ai luoghi, nel tempo.
Sono nomi che legano profondamente i luoghi alla storia e alle storie – magari a singoli episodi divenuti leggenda –, e ai caratteri – qualche volta mi viene da pensare proprio alle facce – della gente.
Penso spesso che troppi tra gli uomini prestati alla politica dimenticano sistematicamente questi elementi quando parlano del paesaggio – non tanto quello (il Pit) di cui si discute in questi giorni – penso invece all’insieme di fattori che hanno contribuito a fare del paesaggio ciò che noi vediamo (o che ci sembra di vedere, con gli occhi della mente). La politica e i suoi uomini si preoccupano degli aspetti economici, quelli che colpiscono interessi immediati e appariscenti, ignorando tutto quello che viene prima di ciò che appare e che in realtà è fatto dalla vita quotidiana, dalle abitudini, e dai comportamenti che divengono usi e costumi che impregnano la città (o i villaggi) e che rendono un luogo così speciale.
Anche il nome di una piazza? Sì, certo, perché non è la ‘solita’ piazza Cavour (senza togliere meriti allo statista piemontese, beninteso).
Si misura e si valuta tutto ciò che ha “un prezzo”, tutto quello che è fisicamente misurabile, che appare su una mappa o in un conto economico – spesso confondendo il valore di qualcosa di immateriale ma di gran carattere, con un prezzo ben più aleatorio dell’immaterialità.
Percorrendo quel tratto di strada verso il cuore della città (venivo da una zona periferica) mi sono ricordata di qualcosa che avevo letto su un bar o forse un pub (?) che proprio al centro della piazza del Sale ospitava delle serate di jazz … ma no, non proprio jazz … forse karaoke – kara + okesutora – quella forma di spettacolo lanciato (in modo simpatico e divertente) da Fiorello, se non ricordo male; quando Fiorello sembrava una specie di Arbore rivisitato. Mi piaceva di più l’idea del jazz, ma tant’è. Di certo proseguendo in questo mumble mentale sollecito l’epiteto di qualche testa d’uovo (…), ma trovo irresistibile, irresistibilmente offensiva l’idea del karaoke (soprattutto senza un Fiorello adeguato) in un sedicente pub, nella vecchia e seducente piazza del Sale.
Mi domando se gli addetti al paesaggio – quelli che ne parlano come del bene più prezioso (avendolo scoperto l’altro ieri e non avendo ancora ben capito di che cosa si tratti precisamente) – si siano resi conto che il paesaggio lo fanno gli umani (ma no, ma no, non sto parlando dei bravi contadini che svegliandosi all’alba davano alla terra forme meravigliose che ritroviamo nella grande arte!); lo hanno creato gli uomini, giorno dopo giorno, anno dopo anno, con le loro scelte e i loro comportamenti che segnano il legame vero che hanno avuto e hanno con quello spazio e con quell’orizzonte.
Il paesaggio è creato e modificato quotidianamente dallo sguardo con cui l’uomo si rapporta a ciò che lo circonda – le colline, le vigne, il bosco, le strade, le vie e gli spazi della città – è costruito con i pensieri, che si traducono in colori delle case, andamenti delle colture, insegne di negozi e botteghe, scelte imprenditoriali e culturali … orientati da una politica in grado di capire, scegliere e indirizzare adeguatamente; scegliendo, spiegando e motivando le proprie scelte …
Scomodo volentieri uno dei più grandi poeti viventi – Yves Bonnefoy – che ci racconta, in numerose testimonianze, di essere stato ispirato proprio dal paesaggio italiano; invito gli appassionati a immaginarlo seduto su un muretto nella vecchia piazza del Sale, mentre si guarda intorno, osservando la gente che sale verso il centro, i giovani che ridono, mentre arriva la sera e le poche auto (è zona pedonale) si diradano, un refolo di vento indugia tra gli alberi, mentre scende un silenzio antico, che racconta lo spirito di Siena, quell’idea di città ideale che ha attratto qui visitatori dai quattro canti del mondo e quel turismo di cui tanto si parla e su cui, di questi tempi, tanto si conta. Immagino il vecchio poeta che sgrana gli occhi chiari nel buio e nella notte quieta, tendendo l’orecchio ai sospiri della città che si assopisce, mentre dall’altro lato della piazza forte e chiaro si alza il rantolo del karaoke.