Scelga una soluzione equa e di grande dignita
di Silvana Biasutti
SIENA. Mi capita spesso, in questi giorni – mi è successo anche ieri – di essere approcciata da qualche conoscente che mi aggancia per commentare una cosa che ho scritto su “il Cittadino on Line” ultimamente (“Il Panino di Mussari”). Il che non mi stupisce: il personaggio in questione (una volta lo definivano ‘personalità’) è al centro degli interessi degli uni e degli altri (insomma di tutti) per l’indelebile e indimenticabile tie-up con la deflagrazione di uno dei miti più mitici a cui tutti noi – senesi e non – eravamo devoti.
Se penso che persino Berlusconi – in un certo tempo ormai passato – ebbe a parlarmi del Monte dei Paschi di Siena con toni di grande rispetto, con una reverenza che non avrei osato attribuirgli, nei confronti di quella che appariva (che era!) la roccaforte del pensiero più genuinamente anti B, B e le sue fottutissime tv, B e la Mondadori conquistata, B eccetera…
Confesso che mi infastidisce un po’ intuire nel retro cranio di tutte queste persone l’idea che io abbia voluto essere un po’ paradossale. Mi turba che lo pensino, perché io – oltre a essere stata (ebbene sì) una che G.M. lo apprezzava e anche ammirava – ritengo davvero che questo giustizialismo sotto traccia (poi leggo qua e là che nessuno ‘osa’ testimoniare contro, eccetera) lasci il tempo che trova; anzi rischia di lasciare tempi peggiori di quelli trovati, perché possiamo pure dimenticarci che i costi della galera di quelli che ci finiscono, poi li paghiamo noi cittadini medi che mediamente siamo torchiati a sangue dal fisco … e le tasse servono anche a pagare le lor prigioni, ohibò. Ma secondo me ci sono anche ragioni di civiltà, e di equità, a cui fare appello contro il giustizialismo a tutti i costi. Trovo, e non l’ho mai nascosto, che sia immensamente più equo, far risarcire i danni da parte di chi li ha causati. Anche se non sempre il risarcimento può rimediare in toto al danno – come nel caso dei delitti di sangue (se uno ammazza un altro, mai potrà riportarlo in vita) – però si può far in modo che chi è stato privato di un proprio congiunto o compagno venga risarcito con denaro. Si può pensare guarda un po’ questa che razza di venale ; ma io invece penso che lo strumento vero, per disincentivare i reati, sia proprio legato al soldo. Perché ho visto – e continuo a osservare e a leggere – decine di casi di malversazioni, furti, corruzione, e tutto l’elenco del genere, per cui la giustizia ficca in gattabuia il ‘personaggio’ e tutti i cittadini che si fregano le mani per la gioia del castigo inflitto al potente. Mai visto un comportamento più stupido. Di solito – tempo da pochi giorni a qualche mese (massimo un anno in casi di innocenti finiti dentro, e dunque puniti più a lungo) – i felloni escono e chiedono, ottenendola, la restituzione del malloppo che era stato sequestrato. Mentre il popolo bue (e sciocco) paga le spese di questo tiramolla.
Di Mussari sono (stata) un’ammiratrice sincera; è stata forse l’unica persona – tra tutti quelli conosciuti nel senese – che mi pareva avesse il passo ‘più lungo’ e le idee più aperte, fino dalle prime volte in cui mi era capitato di incontrarlo. Ricordo però un’ombra, un senso di disagio che provai in una circostanza particolare, in occasione di una promettente presentazione de “I Cinque Poderi della Misericordia”, un progetto ardito alla cui realizzazione avevo lavorato – pro bono – credendoci profondamente: Siena doveva diventare l’agenzia mondiale della solidarietà (e divenendolo, con la complicità di banca e fondazione, avrebbe acquisito fama e ulteriore benessere). Eravamo alla prima metà degli anni duemila – qualcuno ricorderà la data, io ho ben presente il luogo – e il progetto aveva galvanizzato più di una persona. (Avevo pensato di coinvolgere personalità del mondo del non profit e una di queste persone mi toccò il braccio, sussurrandomi all’orecchio “chi è?”, all’arrivo dell’avvocato Mussari e quando risposi spiegando, il tocco si trasformò in una morsa che mi imprigionava, mentre la stessa persona sibilava un “non è possibile …” che al momento non riuscii a definire.)
È la sola lieve ombra che ho sempre giudicato frutto di snobismo da salotto molto chic, fino ai fatti recenti, che (forse) l’avallano. Forse.
Io resto dell’idea, anzi questa mi si irrobustisce dentro sempre di più, che l’unica soluzione equa e di grande dignità, anche in questo caso – anzi soprattutto, in un caso di dimensioni economiche così stralunate, come quello presieduto da Giuseppe Mussari, che ha sconvolto migliaia di persone, coinvolto migliaia di famiglie, contribuito ad affossare l’economia nazionale, distrutto ciò in cui credeva tutta una città, non sia per niente risolutivo essere giustizialisti e forcaioli, come mi pare sia la maggior parte delle persone che mi capita di ascoltare o leggere, ma che sia più opportuno e infinitamente più utile, far collaborare chi vive sotto la cappa di quegli infamanti capi d’accusa, e indurlo – anziché a tacere – a collaborare.
A un certo punto della mia conoscenza (ancorché superficiale) con il soggetto di queste righe, sono stata colpita dall’idea che egli avesse un modello di riferimento – un modello in senso lato, si capisce; soprattutto un ideale estetico – e avvenne un giorno in cui uscivo dall’androne del palazzo della Provincia … di sguincio alla mia sinistra pendeva un gonfalone della mostra di Hugo Pratt, di imminente apertura – un abbaglio di bianco con pochi grandi tratti a raffigurare il poetico marinaio dalle immaginifiche avventure –, da destra proveniva Mussari, con passo elastico, le strette spalle sfiorate dai capelli … lo sguardo corrucciato teso verso visioni imperscrutabili, eppure pronto al sorriso e al saluto cordiale, ma pure immerso in un suo mondo fantastico…
Ricordo bene l’incrocio delle due immagini – una vera e propria dissolvenza incrociata che si fuse in un Mussari (Corto) Maltese e mi si stampò indelebilmente nella mente. Ecco, da allora sono stata convinta che vi fosse del verosimile in questa fugace visione …
Ma se torno con i piedi sulla terra e ripenso all’immensa frittata combinata – sia pure per inesperienza o inadeguatezza, prima di pensare al peggio – naturalmente la poetica di Corto Maltese si annacqua fino a valori omeopatici, tuttavia uno che ha (ancora sono convinta di questo) un’idea di sé piuttosto epica sarebbe ora che prendesse il proprio destino nelle mani, anziché affidarsi allo squallore di infiniti processi che finiranno in nulla (ma che uccideranno anche quell’idea), anziché farsi sballottare l’immagine dai quotidiani e dagli sguardi in tralice di una città incattivita dall’amaro destino, sarebbe ora che avesse uno slancio – di cui sono certa potrebbe essere capace – e lavorasse per recuperare (i soldi ovviamente), ma anche se stesso e l’ideale che gli ho intravisto in faccia – non un fumetto, dunque – quel giorno in Piazza Duomo, davanti al tempio della solidarietà.