Una previsione sul futuro della censura
di Silvana Biasutti
SIENA. È quasi ridicolo scriverlo qui, cari voi che leggete, ma da qualche parte bisognerà pure scriverlo.
Nel nostro bel paese la libertà di stampa è un’utopia.
Certo, nessuno ti manda i sicari a casa, se scrivi che si ha l’impressione che il tale imprenditore abbia evaso il fisco, facendo il nome e cognome del presunto evasore e dei suoi eredi; nessuno ti fa interdire se dici quello che pensi su certi manager di una certa banca. Ma questi non sono discorsi molto popolari sui nostri quotidiani.
Certo, magari potresti scrivere che ci sono plutocrati (e magari alcuni politici?) che hanno la residenza all’estero, cioè vivono sei mesi e un giorno all’anno, ad esempio in Inghilterra, perché così pagano meno tasse (e le pagano a un altro paese!); però nessuno lo scrive!
Sì, puoi ancora, liberamente, dichiarare che in Italia se non hai “un santo in paradiso” non sei nessuno e si vive ordinariamente di raccomandazioni e puoi anche, magari, condire la tua affermazione con qualche esempio, in carne e ossa.
Tuttavia basta essere affezionati ascoltatori di trasmissioni radio condotte da giornalisti, che rispondono agli ascoltatori che commentano le notizie del giorno, per accorgersi delle reticenze – talvolta addirittura penose – del giornalista di turno, messo a confronto con certe domande. E fa niente se le domande e le obiezioni dell’ascoltatore sono platealmente fondate e coinvolgono l’interesse di molti: par di vederlo, il giornalista che conduce la trasmissione, lì in studio che si contorce in un dribbling scansa tutti, che parte per la tangente parlando d’altro, che la tira per le lunghe, che smussa, scivola, scantona, addolcisce ed evapora.
Accade tutti i giorni; anzi, di questi tempi accade qualcosa di ancora più strano. I nostri mezzi di informazione sono internazionalmente noti per occuparsi pochissimo di esteri e moltissimo delle scaramucce tra parlamentari nostrali; uno degli argomenti favoriti è stato la guerra a Berlusconi (fino all’attuale governo di vaste intese).
Ebbene, da qualche giorno a questa parte – precisamente da quando si sta cercando la ‘copertura’ ai mancati incassi IMU e al blocco dell’IVA – l’apertura dei gierre riguarda sempre la Turchia, l’Egitto o persino la Siria (accantonata per mesi).
Per toccare con mano quanto sarebbe grave –in un paese dove ormai gli editori “puri” sono estinti – che la Fiat acquisisse “anche” il controllo del primo quotidiano nazionale (Corsera), essendo di già editore de La Stampa, ti devi far piacere pure uno che qualche volta non ti ha entusiasmato – scarpe a parte che sono sempre bellissime – e deve succedere che questi metta mano al portafogli e si paghi un po’ di spazi (su quotidiani che accettano l’annuncio) per porre una domanda addirittura al presidente della Repubblica…
Und so weiter und so fort…
Ma che cosa sta succedendo in questo paese? Nemmeno le cose di ordinaria ipocrisia vanno più bene? Bisogna appiattirsi sul diktat dell’imprenditore di turno e del politico che gli regge la coda, in una ‘reggenza’ reciproca? Pare proprio di sì.
Perché i due partiti che tra lor si opponevano ora governano avvinti come le due serpi farmaceutiche, quell’altro poi non si è accorto di aver vinto le elezioni (che non è proprio come vincere un terno al lotto, di questi tempi) e i cittadini boccheggiano domandandosi quale terrificante sciagura potrebbe piombar loro inopinatamente tra capo e collo.
E i giornalisti? Embe’ i giornalisti non possono che affinare l’arte della “nonizia”, cioè della notizia tarpata ad arte, limata, lisciata, lucidata, deodorata, e consegnata a noi lettori magari con l’accompagno di fotomontaggio che la metaforizza.
Perché di questi tempi il posto di lavoro è più caro della mamma (giustamente) e gli editori di giornali fanno gli editori di giornali perché le cose vadano proprio così. E i giornalisti lo sanno.
E ma i blog?! Ah ma quello è il futuro. Il futuro della censura.