SIENA. Leggo che la riunione fiorentina, organizzata da Condé Nast in Palazzo Vecchio, sul tema del nuovo lusso, ha avuto grande successo.
Leggo anche che i relatori si sono presi “il lusso” di menzionare la vera povertà – di quelli che non posseggono proprio niente, nemmeno sé stessi – cioè i profughi che sbarcano su queste rive del Mediterraneo.
Leggendo la cronaca delle giornate fiorentine di quelli che campano pensando alle chicche per i sempre più ricchi, mi è sembrato di fare un salto nel tempo – salto all’indietro (una mia specialità ai tempi del liceo) – quando tra le riviste che trovavo in casa mia (una casa in cui si leggeva di tutto e soprattutto si leggeva), ce n’era una (Derby) che presentava reportage dal mondo della moda, con foto in bianco e nero molto belle, dell’equitazione (disegni e ancora moda dedicata al settore specifico), dei gioielli. Il tono di voce, lo stile della rivista, le immagini, evocavano un mondo che mi era estraneo, ma di cui sentivo accenni, in casa, nei dialoghi tra i miei genitori; molti personaggi della mondanità e della borghesia di quel tempo erano clienti di mio padre, che aveva nei loro confronti l’approccio di un entomologo, che tiene da conto le proprie prede, per studiarle bene e che le ripone con cura …
La cronaca di questo convegno fiorentino mi ricorda proprio quelle pagine di Derby, che presentavano un mondo a parte, qualcosa che non mi era dato frequentare, prescindendo anche dalla mia età. Un mondo che non mi suscitava sentimenti al di fuori dell’impulso di disegnare – vestiti, paesaggi, acconciature – com’è naturale che succeda a una bambina.
Ma leggendo, e guardando le immagini, mi è sembrato evidente che sia la scelta del luogo, Palazzo Vecchio, sia i contenuti stessi del convegno siano il segno che si è ri-scoperta l’acqua calda.
Perché, infatti, pare che abbiano scoperto ciò che fa dell’Italia non solo lo scenario ideale per un tale convegno, ma anche la fonte dell’ispirazione dei temi che girano intorno al super lusso tramutandolo in oggetti e stili incantevoli. Pare dunque che si siano accorti che l’origine sia proprio – ma guarda un po’! – il patrimonio culturale che si è andato stratificando nel nostro paese, ad opera di intellettuali, artigiani e artisti (sorretti e incoraggiati dai politici e governanti dei tempi antichi).
In altre parole, ciò che oggi è ri-scoperto, ri-trovato, ri-guardato, è tutto ciò che è stato scartato, dimenticato, negletto, trascurato e persino irriso (“con la cultura non si mangia”) nei decenni passati.
Da quando ho memoria, avendo scelto di studiare con un grande artista, all’Accademia di Belle Arti, a Brera, mi sono resa conto degli scantonamenti sistematici della politica e dei suoi uomini rispetto alle testimonianze culturali e artistiche del nostro paese. I politici hanno sempre preferito i caveau delle banche e il mondo degli affari agli affreschi e ai polittici della grande arte.
Ora che il mondo degli affari ha scoperto il cibo e la cultura, come nuove miniere per produrre ulteriori fatturati, forse dovremmo prestare attenzione – finalmente – a quei lussi di cui abbiamo goduto finora e di cui la più parte di noi non ha avuto contezza, perché il lusso nella mente della gente comune equivale al ‘vil denaro’, talché tutto ciò che non ha un valore monetizzabile immediatamente, non viene preso in considerazione.
Perciò provo a suggerire di pensare quale potrebbe essere il lusso a cui siamo abituati – ma senza considerarlo tale – che qualcuno, in un non lontano futuro potrebbe sottrarci.
Alcuni esempi, non così fantascientifici. Se una piazza o un centro storico divenissero il polo d’attrazione per una sceltissima e rarefatta schiera di clienti superlusso, perché non chiuderli alla gente qualunque, magari condizionando la possibilità di visitarli al pagamento di un biglietto salato (eppure era quella bella piazza elegante dove ogni tanto ci prendevamo “il lusso” di un caffè lustrandoci gli occhi con le architetture e i giardini e l’insieme armonioso).
Quanto vi piace affacciarvi su un balcone naturale e guardare il paesaggio che si stende, a completa disposizione dei vostri sensi, fino all’orizzonte? Occhio che prima o poi qualcuno potrebbe trasformare il luogo in un belvedere a pagamento, pretendendo in cambio del bello ‘sguardo’, moneta sonante. Certo, non potrà accadere laddove l’urbanistica dei miei stivali ha autorizzato una casetta qui e un condonino lì, o qualche bell’insediamento di casette a schiera, magari su un crinale incontaminato e franante.
Tuttavia in molti luoghi in cui bellezza e armonia naturali hanno dato vita a testimonianze artistiche di quanto il bel paesaggio sia ricostituente per il nostro spirito e nutriente per la nostra creatività, qualche politico della nouvelle vague potrebbe pensare di instaurare nuove regole, un po’ per fare cassa, un po’ per liberare i grandi ricchi dalla visione della gente comune, in luoghi che “devono” essere dedicati solo a chi può pagare per guardarli …
Fantascienza? Speriamo.