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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Riflessioni sulla Costituzione italiana: l’articolo 4

SIENA. Conosciamo la nostra Costituzione? Forse non bene come dovremmo. Continua il confronto di riflessioni sui vari articoli che la compongono.

 

Articolo 4 della Costituzione, il “diritto la lavoro” vale anche per i giovani?

Cosa può pensare un 25enne dell’articolo 4 della Costituzione? È una bella domanda a cui, di primo acchito, resta difficile trovare una risposta.

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Questo il testo di quello che sancisce uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, il diritto/dovere al lavoro, un principio che i padri costituenti hanno rafforzato quando hanno scritto, all’inizio della Carta Costituzionale, che l’Italia è una repubblica democratica “fondata sul lavoro”.

Nel 2020 bisogna però chiedersi in che modo lo Stato possa rendere effettiva questa condizione del diritto al lavoro, una domanda legittima soprattutto se a porsela sono i più giovani. Nell’anno della pandemia infatti la fotografia scattata dall’Istat non è rosea ed è in continuo peggioramento: secondo l’ultima rilevazione dell’istituto a ottobre 2020 il 30,3% dei cittadini dai 15 ai 24 anni di età è disoccupato.

Lo ha segnalato l’Istat e lo ha ribadito anche l’ultimo Rapporto sul lavoro della Commissione Europea, secondo cui “la crisi del Covid-19 ha interrotto un trend positivo di 6 anni sul mercato del lavoro” con i giovani che sono “i più colpiti, con un tasso di disoccupazione in crescita dal 14,6% a marzo al 17,1% a settembre”, si legge.

La generazione di cui faccio parte è sospesa, paralizzata dalle due crisi economiche e Austerity vissute negli ultimi anni, frustrata, colpita dall’ansia di una vita che sembra essere senza stabilità, senza prospettive, fiducia o motivazione, scoraggiata e impaurita da quello che è un futuro apparentemente sempre più buio.

C’è da chiedersi come un giovane possa concorrere “al progresso materiale o spirituale della società” quando molto spesso è senza lavoro e a volte non ha ricevuto nemmeno una giusta istruzione, esatto perché la nostra generazione è quella dei Neet, costituita da un esercito di due milioni di disoccupati che non stanno seguendo alcun tipo di studio e nemmeno una formazione educativa.

Una generazione cresciuta più con la preoccupazione che con i sogni: molti di noi devono emigrare, per diversi il curriculum di studi non è coerente con l’impiego che spesso è occasionale e sottopagato.

Insomma il compito della Repubblica italiana dovrebbe essere quello di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro, ma l’amara realizzazione è che, dopo più di settant’anni dalla nascita della nostra Costituzione, la realtà non può essere più così.

Non lo è per i giovani, non lo è per tanti cittadini che negli ultimi mesi, in una società sempre più governata dal profitto, si sono trovati costretti a dover scegliere tra due diritti fondamentali: salute e lavoro.

Se la pandemia quindi ci ha insegnato qualcosa è che adesso servirebbe un cambio di paradigma nella nostra cultura e a livello delle istituzioni locali, ma anche comunitarie: dovremmo renderci tutti conto che ognuno di noi è una risorsa per la società. In questo organismo che è il nostro Paese siamo tutti delle piccolissime cellule, tutti dovremmo dare il proprio contributo per renderlo migliore.

Marco Crimi


Mi rendo ben conto – mentre inizio a scrivere questo modesto contributo – dei miei limiti di conoscenza di diritti e doveri a cui ci chiama la nostra Costituzione. Si tratta di principi in cui sono cresciuta in modo naturale, giorno dopo giorno, in tempi in cui era ovvio esprimersi correttamente, ed era anche scontato che un cittadino, massimamente un giovane, dovesse testimoniare con i fatti la propria attitudine a rispettare le regole che garantivano una convivenza civile e fattiva; rispettare le regole in ogni loro accezione.

A quella stagione lontana ne è seguita poi un’altra che chiamerei “il tempo delle parole”, lunghi anni in cui ho ascoltato i protagonisti di una Repubblica, stretta e lunga quanto basta per capire che non ci si è preoccupati a sufficienza di parlare all’intero paese in tutte le sue diversità; li ho sentiti fare promesse o denunciare lacune, senza essere capaci di creare denominatori comuni per includere tutti in un viaggio verso un comune destino, potenzialmente più felice e prospero di quanto non appaia alla maggior parte di noi.

Mi auguro che questo nuovo anno possa portare un cambiamento, ma le notizie che arrivano dalla politica non lasciano molte speranze. Eppure, cambiare e offrire ora ai cittadini che hanno esperienze ed energia (e che si rendessero disponibili, pro bono) l’opportunità di partecipare al rilancio del paese; chiedere contributi di idee e azioni – o anche testimonianze – a chi ha una storia che potrebbe nutrire progetti per interpretare in modo nuovo l’imminente fase di sviluppo, sarebbe un modo per cambiare concretamente, per chiamare a raccolta il paese e conoscerlo meglio – anche nel caso che nessuno (o pochi) rispondesse a questo appello.

Ora che mi trovo in quell’ansa del fiume che mi era stata infinite volte descritta come quieta, limpida, riparata da fronde, al sicuro da insidie recondite; un luogo in cui potevo scegliere di sonnecchiare lasciando che i remi stessero inerti ma accessibili per un’eventuale correzione alla deriva, oppure – avendone l’energia – ancorare la barca e scendere a terra e invitare qualcuno lì intorno a discutere su idee e possibilità, magari con uno sguardo ai più giovani, o semplicemente raccontando le proprie esperienze maturate in decenni per consegnarle a nuove elaborazioni, ora vorrei che questo accadesse.

Inizierei con un obiettivo, da condividere, e vorrei partecipare dicendo la mia sulle priorità strategiche per riuscire a centrarlo.

Dare il proprio fattivo contributo credo potrebbe essere il modo per rispondere a questo articolo 4 della nostra Costituzione.

Silvana Biasutti

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