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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Riflessioni sulla Costituzione italiana: l’articolo 3

SIENA. Conosciamo la nostra Costituzione? Forse non bene come dovremmo. Continua il confronto di riflessioni sui vari articoli che la compongono.

L’art.3 della nostra Costituzione recita:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E’ un articolo fondamentale per il passaggio da una democrazia formale ad una sostanziale, soprattutto là dove dice che è compito della Repubblica rimuovere ogni ostacolo alla sostanziale e non formale uguaglianza di tutti i cittadini.

Il concetto faceva già parte del patrimonio giuridico-culturale dei comuni due-trecenteschi del centro-nord italiano. Il nostro Mario Ascheri lo ha meglio specificato per quanto riguarda il Comune di Siena quando rileva che queste fossero le sue priorità giuridico-culturali: libertas, honor civitatis, iustitia et aequalitas. Ci volle mezzo millennio prima che un motto simile riecheggiasse nella Francia dell’Illuminismo e della rivoluzione, quando si inneggiò alla Liberté, Égalité, Fraternité. Al posto dell’honor civitatis medievale italiano c’è la fraternité che però, bisogna dirlo, è cosa difficile da imporre per legge.

Comunque sia, è con gli investimenti nella libertà e nell’uguaglianza che si rimuovono gli ostacoli alla equa crescita complessiva e generalizzata della coscienza civico-culturale della popolazione. Cosa di assoluto rilievo perché è vero, anche se scarsa ne è la consapevolezza, che la qualità di ogni governo dipende direttamente e esclusivamente dal livello culturale dei rispettivi popoli.

Tanto per precisare: in 75 anni di repubblica noi abbiamo avuto qualcosa come 70 governi, praticamente un governo diverso ogni anno: forse nessuno al mondo ha un’esperienza di governi come noi Italiani. Bene, nessuno di questi governi ha fatto storia per particolari meriti (semmai per diversi demeriti). E questo perché l’azione di quei governi, nel bene o nel male, non poteva che essere misurata sul non eccellente livello medio di civismo e di cultura della popolazione. Ma basta pensare agli ultimi 25 anni, quelli della cosiddetta Seconda Repubblica. Vi si sono avvicendati una decina di governi di ogni colore, anzi di ogni grigiore: tecnici e politici, di destra, di sinistra e di centro. Si pensi solo al fatto che in quel periodo hanno governato, alternandosi personaggi come Berlusconi, Amato, Prodi, D’Alema, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Nonostante i grandi e contrastanti sbandieramenti ideologici, c’è almeno uno di quei governi che sarà ricordato per qualcosa di eccezionalmente positivo o negativo? No! Governi diversissimi, ma calma piatta, senza sorprese, senza distinzioni: stessa ipocrisia, stessa corruzione, stessi scandali, proprio come nella Prima Repubblica.

Tanto per chiarire il concetto per sommi capi e con esempi estremi: un governo onesto e corretto su una comunità mafiosa, se non si adegua, può durare non più di una o poche settimane, così come, all’opposto, un governo mafioso su una comunità onesta e evoluta. Ci possono essere tutte le sfumature che si vuole (niente è sempre tutto bianco o tutto nero) ma questa è la realtà di fondo.

La questione mi riporta alla mente che anni fa, in occasione dell’ennesima vittoria elettorale del Pci, Fabio Ceccherini, presidente della Provincia di Siena se ne uscì sulla stampa con questa dichiarazione (letterale): “Ci votano perché governiamo bene”. Risposi al giornale da Taranto (non ricordo se la mia lettera fu pubblicata) in questi termini: “Che cavolo vuol dire che li votano perché governano bene? Allora a Taranto non li votano perché qui governano male?”. E aggiunsi: “Io, i bravi governanti senesi, li manderei a governare Bagheria in Sicilia. Avrebbero 30 giorni di tempo per adeguarsi alla situazione o finire in una pozza di sangue. Facile governare bene i Senesi, ma il merito è tutto loro, mica del Pci”.

Poi, qualche anno dopo in occasione di una conferenza, fu l’incontro con Robert Putnam dell’università Harvard a farmi prendere piena consapevolezza di quanto allora avevo solo superficialmente sfiorato. Ringraziai Putnam, di cui avevo appena lettoLa tradizione civica nelle regioni italiane“, per avere spiegato in maniera incontrovertibile come l’esperienza comunale nel Medioevo, che si sviluppò soprattutto nell’Italia centro-settentrionale (ma anche in Svizzera, Midi francese e Catalogna), fosse responsabile del solco profondo che ancora oggi segna la differenza tra l’Italia del Nord e quella del Sud (un Sud che invece da millenni e fino al XIII secolo d.C. aveva sempre e largamente superato il Nord). Il tutto era da ricondursi soprattutto alla partecipazione dei semplici cittadini alla gestione del libero Comune nel centro-nord – cosa sempre negata nel Meridione – partecipazione che aveva fatto crescere il senso civico dei buoni borghesi fino a riuscire a escludere da quella gestione la nobiltà e la monarchia che da sempre ne avevano avuto il monopolio. Al Sud, invece, il persistere del sistema monarchico e feudale aveva favorito la crescita fino ai giorni nostri, non del senso civico, ma del familismo e del clientelismo (da cui le mafie).

Colsi così l’occasione di quell’incontro per ringraziare a voce il professore perché a scuola ci avevano insegnato che quella separazione tra le due aree del Paese era stata provocata dal fatto che il Nord avesse goduto tra Settecento e Ottocento del governo illuminato degli Austriaci (Maria Teresa d’Austria e i Lorena, con tanti saluti al formale e bigotto patriottismo italico), mentre al Sud dominavano i Papi e i Borboni. Putnam lasciò che finissi il mio discorsino e poi mi fece, in perfetto italiano: “Non ci voleva tanto a capirlo. Bologna dal 1508 e fino al 1860 fece parte dello Stato della Chiesa, dunque sotto il Papa. Ciononostante, grazie solo al suo illustre passato universitario, comunale e repubblicano, per noi Americani oggi Bologna è il punto più chiaro di tutta l’odierna politica italiana”. Ebbi l’impudicizia di esclamare: “Ma come? In piena guerra fredda lei mi dice che per gli Americani la più comunista delle città italiane è anche quella meglio amministrata?”. Mi guardò come si guarda teneramente un figlio un po’ scemo e replicò: “Non penserà mica che sia stato il Pci a rendere civile Bologna, eh? E’ Bologna che ha reso civile il Pci”. E subito fu come se la mente mi si allargasse all’improvviso.

Ora sono convinto che se la Appendino del M5S avesse vinto a Roma e la Raggi, sempre del M5S, avesse vinto a Torino, oggi lo scherno e il sarcasmo mediatici avrebbero l’Appendino come bersaglio, mentre la Raggi sarebbe stata glorificata. Facile governare i Torinesi! Ma governare i Romani?

Mauro Aurigi


Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Così recita il primo comma dell’articolo 3. Il fatto che questo articolo faccia parte sostanziale della Costituzione e non di un preambolo, testimonia la volontà dei padri costituenti di impegnare al suo rispetto.

Le discriminazioni politiche, razziali e religiose che hanno fatto versare tanto sangue nei secoli scorsi (negazioni di diritti e persecuzioni di protestanti, luterani, eretici, cittadini di colore, ebrei, armeni, donne ..l’elenco sarebbe lungo…), non sono affatto retaggi del passato.

L’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e la negazione di ogni privilegio derivante dalla nascita o dall’appartenenza di ceto, compaiono per la prima volta nel 1776 nella Dichiarazione di Indipendenza americana e in quella dei Diritti dell’uomo e del cittadino elaborata dopo la Rivoluzione Francese nel 1789.

Si tratta di principi che risalgono dunque ad una società molto diversa da quella attuale, ma conservano tutt’oggi un enorme valore e devono essere sempre riaffermati e difesi se consideriamo la democrazia e l’uguaglianza come valori irrinunciabili, perché nel corso della storia anche recente sono stati più volte violati e non devono essere dati per scontati.

Il dettagliato elenco delle possibili discriminazioni risulta, da un lato frutto di ciò che era avvenuto durante la seconda guerra mondiale: le leggi razziali (meglio sarebbe chiamarle razziste) volute da Mussolini e sottoscritte dal re d’Italia, che sfociarono nel genocidio degli ebrei, ma anche le discriminazioni linguistiche nell’Alto Adige annesso dopo la prima guerra mondiale, quando si cercò con la forza di italianizzare le popolazioni di lingua tedesca e slovena.

Ma quei principi di eguaglianza acquisiscono nuovo valore nei nostri tempi, quando le discriminazioni di sesso e di razza hanno assunto profili nuovi.

Quando venne scritta la Costituzione si voleva riconoscere la parità di diritti alle donne (che solo nel 1946 ottennero il diritto di voto), ma ancora oggi tale rivendicazione appare insoddisfatta perché il mondo femminile è vittima di nuovi pregiudizi maschilisti, lavora in condizioni di maggiore precarietà, con stipendi più bassi e sconta talvolta con la vita la richiesta di autonomia.

Ma la grande freschezza della norma è confermata dall’emergere dei diritti di cittadinanza delle persone omosessuali e transgender, nel momento in cui l’appartenenza di genere deriva dalla scelta del singolo, cui si riconosce la libertà di affermare il proprio diritto di amare chi vuole.

Così la distinzione di razza si presenta oggi in Italia in forme inusitate, nemmeno immaginabili nel 1948 quando scarsa era la popolazione di colore presente sul territorio. Oggi con l’immigrazione aumentata e non governata, la presenza di cittadini di origine africana o asiatica abbandonati a se stessi e spinti a delinquere dalla mancanza di un’occasione di lavoro e di inserimento nelle società, ha creato nei cittadini paura e ostilità, se non vero e proprio razzismo, fomentato da una propaganda politica irresponsabile. Invece non considero la persecuzione degli ebrei una discriminazione razziale, perché gli umani appartengono tutti ad un’unica razza, ma di tipo esclusivamente religioso che rimane ancora di grande attualità e si nutre oggi non solo di un pregiudizio antico ma del richiamo ai simboli nazisti e fascisti. Contro questa eredità la Costituzione ha previsto l’eguaglianza di tutte le opinioni politiche, ma le simpatie per il regime fascista non rientrano in una categoria di pensiero, bensì costituiscono un reato perché la Repubblica è nata proprio togliendo il diritto di cittadinanza a quell’ideologia basata sulla sopraffazione e la violenza.

Significativo che i cittadini debbono avere gli stessi diritti indipendentemente dalle condizioni personali e sociali, e perciò chi nasce in una famiglia povera deve avere le medesime possibilità di chi viene invece da una famiglia ricca: andare a scuola, all’università, accedere ad una professione qualificata. Il premio al merito, all’impegno porta a quella mobilità sociale che arricchisce tutta la società. Molti passi avanti si sono fatti in Italia a partire dagli anni’60 del secolo scorso, e ancora sotto la spinta del movimento del ’68, mentre negli ultimi anni l’ascensore sociale si è fermato, con il corollario della crescita delle disuguaglianze.

A questo proposito bisogna dire che il secondo comma dell’articolo 3, non è stato efficace come si pensava:

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Con queste parole si intendeva garantire le condizioni effettive per l’esercizio dei diritti indicati nel primo comma, dando atto che la questione non è solo teorica, ma deve fare i conti con la realtà delle cose e tenere conto delle condizioni di partenza dei cittadini.

Per raggiungere l’uguaglianza sostanziale, è necessario che lo Stato si adoperi effettivamente per assicurare la parità dei diritti, compiendo le azioni positive utili ad impedire che il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali e sociali diventino causa di una discriminazione di fatto.

E’ forse la parte più impegnativa, perché affidata alla volontà dei partiti che non condividono ad esempio la necessità di far partecipare tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Ma la Costituzione ci lancia la sfida di difenderne l’attuazione giorno per giorno, tenendola sempre come riferimento morale e ideale.

Laura Vigni

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