di Bianca Di Giovanni
SIENA. Solo a sentire la parola Siena, una ventina d’anni fa (eh, sì, ne sono passati tanti) mi saltava in mente l’idea di allegra bizzarria, leggera e rarefatta, legata tuttavia a pesantissime tradizioni. Uno strano binomio, fatto di una lingua cantalenante e allegra, di un sapore del pecorino, del colore rosso mattone, e dell’odore dei soldi, quelli nei forzieri del Monte.
Oggi è rimasto il rarefatto, purtroppo senza la leggerezza di allora. Come se la città si fosse scolorita, dopo il buio al Montepaschi, la crisi economica, la caduta del vecchio partito di sinistra (non so più se chiamarlo Pds Ds o altro). Vista da lontano, oggi Siena sembra lo spettro di se stessa: non “parla” più, non “racconta” di un mondo placido e autosufficiente, “parallelo” alla modernità, rimasto in piedi per decine e decine di anni. C’è stata una grande frattura, un crack. Si rimarginerà?
In tutta la mia vita ci sono “passata” non più di due o tre volte. Ma vent’anni fa, come dicevo, era come se ci abitassi. Lavoravo alla Mattina (l’edizione locale de l’Unità) Firenze e Toscana, e gestivo le pagine delle province. Ogni giorno i report da Siena per me erano un purissimo divertissement. Tra traffici di cavalli, zuffe tra contrade, rassegne sul vino, dibattiti su piazza del campo: era un mondo fatato. Mi ricordo di un caso, che mettemmo in apertura di pagina, che riguardava il piano del commercio, in cui si convocò in Comune addirittura un linguista perché fornisse la definizione di “intimo”. Fu così che si risolse una contesa tra gli esercenti di intimo, appunto, e quelli di costumi da bagno. Roba dell’altro mondo.
Più tardi, quando per lavoro sono entrata nei meandri delle banche italiane, l’immagine di Siena coincise con quella della banca, all’epoca ancora lontana dal baratro (doloroso) in cui è sprofondata più tardi. De Monte impressionava la sua (supposta, purtroppo) solidità: controllo ferreo di una fondazione, cospicuo patrimonio immobiliare. Pura finzione, immaginario collettivo.
Oggi i bastioni che sorreggevano la mia immagine di Siena sono crollati. Solo il nome mi evoca nostalgia, forse perché sono astemia e non me la posso cavare con un Brunello o un Montepulciano. Immagino (ma non ne ho contezza) che la fine del binomio fondazione-banca abbia segnato la vita collettiva, che era il grande valore aggiunto della città. Ora bisognerà trovare altre formule per costruire nuove contrade e nuovi forzieri da riempire. Lo spero davvero. Forza Siena!
*giornalista de L’Unità. Si occupa di economia