Questa spezia è stata conosciuta dagli italiani già durante la prima esperienza coloniale di fine ‘800.
di Vito Zita
SIENA. Il berberè è una miscela di spezie ed è un ingrediente chiave delle cucine del Corno d’Africa. Viene utilizzato per preparare lo zighinì, uno spezzatino di carne o pesce piccante, cotto nel burro con cipolle, pomodori, e servito assieme alle verdure sopra una grande forma di pane spugnoso (engera). Lo zighinì nella tradizione culinaria dell’Africa orientale viene mangiato con le mani, aiutandosi con l’engera.
Accanto allo zighinì ruotano alcune pietanze gustose e originali, tra le quali ricordiamo le sambusa, frittelle di carne, pesce o verdure; lo scirò, una farinata di ceci cotta in un soffritto di cipolle e pomodoro; il gored gored, filetto tagliato a dadini cucinato con burro e salsa piccante; lo spriss, carne tenera e fine accompagnata da peperoncini verdi.
A completare la lista delle prelibatezze regionali ci sono il tuntumo (lenticchie in umido), il bamia (verdure africane) e l’aggià (grano pestato con pomodoro e curry). Come dessert è diffusa una specialità mediorientale: l’halva, una sorta di torrone morbido al sesamo. In alternativa c’è l’habbaset, crema di miele e pistacchi. Tra le bevande non mancano ottime birre locali; il mies, una bevanda alcolica a base di miele fermentato; l’areki, digestivo all’anice; l’immancabile the speziato (a base di cannella, chiodi di garofano, zenzero, cardamomo e pepe).
Per preparare il berberè è molto importante rispettare le proporzioni fra i vari ingredienti che tradizionalmente sono: 20 peperoncini; 1 cucchiaino di semi di coriandolo; 10 chiodi di garofano; 60 semini di cardamomo; ½ cucchiaino di semi di sedano di montagna (ajowan); 15 bacche di pimento; 1 cucchiaio di grani di pepe nero; 1 cucchiaio di semi di fieno greco; 1 cucchiaino di zenzero macinato; un po’ di cannella.
Questa spezia è stata conosciuta dagli italiani già durante la prima esperienza coloniale di fine ‘800.
Infatti se ne trova una descrizione in un resoconto del 1891 scritto da Ferdinando Martini, che dal 1897 al 1907 sarà Governatore della colonia, durante la sua missione, essendo a capo di una delegazione d’inchiesta sull’Eritrea: “che direste voi, ombre dolenti, nel mirare palati umani inghiottire senza fodera di lamiera le vivande manipolate dagli Apici abissini? Non dimenticherò mai la fisionomia di alcuni dei miei compagni rimasti a bocca aperta, e non dalla meraviglia, assaggiata che ebbero quella salsa di berberè, al cui paragone il “scoles”, la terribile acquavite dei Norvegiani, diventa una bibita rinfrescante: non dimenticherò mai d’essermi io sentito nel palato e nella gola infuocati come per un gargarismo di olio bollente, le trafitte di cento spilli, ad un tempo.
I nostri uffiziali, che vi erano assuefatti, insistirono a lungo perchè ne assaggiassi ancora: e badarono a persuadermi che il berberè è una delizia, e tutto sta nel vincere la prima prova; io piuttosto che tentare la seconda e rinnovarmi quel tormento ineffabile, avrei sfidato il leone con uno spadino da cerimoniere. Invece, per convincermi che ero sempre capace di muovere le mascelle, mi rassegnai ad assaggiare il “dulat”, interiora di agnello abbrustolito che un servo pigliava da un tegame a manciate e buttava sull’”engera”.
Vennero alla fine il “berill”, bocce di vetro corpacciute con lungo collo, dalle forme che hanno da noi le zucche da pescatori. Fu versato il famoso “tec”, composto con miele fermentato, acqua e una infusione di foglie di “ghessò” che gli da un aroma particolare. Uno dei colleghi lo giudicò gradevole ma io o sia per difetto di palato o per le pene inflittemi dal berberè me l’avessero guastato, vi sentii solamente il sapore di una aranciata andata a male”.